Bar illegali e bazar stranieri: così Roma perde la sua identità

Bar illegali e bazar stranieri: così Roma perde la sua identità
di Mauro Evangelisti
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Domenica 23 Ottobre 2016, 09:40 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 08:22

Il cuore della Città eterna si sta svuotando, i residenti fuggono e cedono le case al business del turismo di massa, che corre parallelo al degrado e a una vita notturna con zero regole. Se ne vanno anche i commercianti tradizionali, che ormai si sono arresi agli store dei souvenir aperti da cinesi o ai dilaganti minimarket di bassa qualità gestiti soprattutto da immigrati del Bangladesh. Regole? Salvaguardia delle aree di pregio? Tutto aggirato, senza troppa fatica.

Benvenuti nell'eterno festival della birra a basso costo venduta di giorno e di notte, nel regno del cattivo gusto dei negozi di souvenir che hanno come bandiera ufficiale grembiuli su cui campeggia la nudità deformata del David di Michelangelo. La sensazione che provi nel percorso verso Fontana di Trevi o piazza Navona è la stessa di quando cerchi di uscire da un autogrill e devi farti largo tra le merce. Solo che lì va bene destreggiarsi tra cd e caciotte, qui sei nel centro di Roma, patrimonio dell'Unesco.

LA RESA
Le leggi per tutelare le aree di pregio? Acqua fresca, per aprire un minimarket, che può restare aperto 24 ore su 24, basta una Scia compilata on line (significa Segnalazione certificata di inizio attività) e il gioco è fatto. Per il resto, a Roma i controlli sono insufficienti, i negozi si trasformano in bazar con la merce appesa sui muri e senza alcun rispetto del regolamento comunale sull'arredamento. Quali immagini porteranno a casa i turisti frastornati in un mercato volgare spenna turisti che chiamare suk sarebbe pure un complimento? Il centro storico di Roma, nelle zone più a ridosso dei monumenti o negli hub della vita notturna, ha lasciato pochi resistenti tra i negozianti romani tradizionali.

Ormai hanno vinto i minimarket gestiti da immigrati soprattutto dal Bangladesh, ma anche dall'Egitto, dal Pakistan, dal Marocco; hanno occupato tutte le posizioni chiave i negozi di souvenir in mano ai cinesi; trionfano decine di finti laboratori artigianali e venditori di kebab che spesso hanno però come core business il commercio di alcolici per comitive di ragazzi in cerca di sbornie facili.

Ovvio, il problema non è la nazionalità di chi gestisce l'assalto al centro storico, ma lo snaturamento ormai giunto al punto di non ritorno. Resistono e anzi crescono i brand della moda o le catene internazionali, il centro non è solo minimarket, ma è solo la parte di un tutto che sta affondando. Sta succedendo lo stesso in altre città che stanno cercando un equilibrio con il turismo di massa: a Barcellona, ad esempio, per un anno sono state proibite le aperture di qualsiasi negozio di souvenir, discoteche e bar nella Ciutat Vella.

NUMERI
Nel centro di Roma sono contingentati i locali che fanno somministrazione - bar e ristoranti - ma aggirare le regole non è così complicato. I numeri sono eloquenti. Solo alla voce minimarket, che hanno sostituito le vecchie frutterie, aperti fino a tardi con merce di dubbia qualità, secondo uno studio della Confesercenti a Roma sono già 5.000, nel primo municipio, l'area del centro storico, almeno 2.300, di cui una parte consistente nell'ultimo anno. Solo a Monti sono 500, a Trastevere 550. Va ricordato che gli esercizi commerciali del I Municipio in totale sono 30.000, di questi circa la metà sono bar e ristoranti. Daniele Brocchi, responsabile del settore turismo di Confesercenti Roma: «L'invasione del centro storico da parte dei minimarket è cominciata con le leggi che hanno liberalizzato il settore.

Le delibere del Comune per tutelare le aree più pregiate si sono rivelate inefficaci». Confesercenti ha anche presentato un esposto alla Guardia di Finanza, sostenendo che i minimarket sono caratterizzati dall'evasione fiscale e dalla concorrenza sleale: quando qualcuno compra alcolici invece di battere scontrini con il 22 per cento di Iva, optano per scontrini con il 4 per cento come se se si trattasse di frutta. I commercianti italiani? I pochi che c'erano si arrendono, vendono ai cittadini di Bangladesh che ricevono finanziamenti da chi ha fatto fortuna nella loro comunità, con meccanismi molto simili alle forme di credito comunitario usate dai cinesi. Ecco perché, quando scattano i provvedimenti anti alcol, gli ubriachi in giro per Roma non si scoraggiano: al mini market una birra te la vendono comunque e anche le pizzerie al taglio o il kebabbaro che non dovrebbe fare somministrazione invece ti riforniscono sempre di alcolici.

Come si aggirano le leggi? Alcune licenze, come quelle di bar e pub, sono contingentate in centro e a San Lorenzo, grazie a una delibera di dieci anni fa, sulla carta all'avanguardia.

ESCAMOTAGE
Ma il meccanismo del laboratorio artigianale - dalla pasticceria al kebab - che invece non ha limiti fa entrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta. I mini market, come detto, si aprono con una comunicazione on line al Comune, e ora si spera nel decreto Madia perché vada a porre delle limitazioni, preservando le zone di pregio, come ad esempio già sta facendo autonomamente Firenze. Su bar e pub la giunta Marino aveva studiato un sistema a punti, se non rispetti certi criteri di qualità - dall'insonorizzazione ai menù esposti correttamente - rischi di chiudere, ma l'iter del provvedimento non è stato ancora concluso.

Per ora l'unico timido (ma storico) miglioramento che il centro storico romano ha archiviato è l'allontanamento dal Colosseo di un altro simbolo del degrado romano, i camion bar e i venditori di souvenir. Il nuovo assessore allo Sviluppo economico, Adriano Meloni, dice che qualcosa bisogna fare per salvare il centro, parlando dell'arrivo di Mc Donald's a Borgo Pio, vicino al Vaticano: «Vogliamo cambiare le norme, lavorare per la tutela del decoro e del territorio, in particolare nel caso del centro storico riconosciuto come sito Unesco e più sottoposto allo stress urbanistico e turistico. Vogliamo salvaguardare le attività tradizionali». Il problema è che ormai l'attività con più tradizione alle spalle rimasta in centro a Roma rischia di essere quella dei negozi cinesi di souvenir.

2 - continua

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