Roma, macchinisti con il doppio lavoro: scandalo all’Atac

Roma, macchinisti con il doppio lavoro: scandalo all’Atac
di Lorenzo De Cicco
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Mercoledì 19 Luglio 2017, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 13:53

Un autista di Acilia, parcheggiato il bus in deposito, passa il pomeriggio a lavorare in una ditta di traslochi. Un altro conducente è famoso nei garage di Grottarossa come il cassamortaro, perché arrotonda lo stipendio aiutando, “a chiamata”, un’impresa di pompe funebri vicino casa. Poi c’è il piastrellista che ha rifatto il bagno a diversi colleghi macchinisti - a prezzi di favore, s’intende - e l’elettricista, anche lui generoso negli sconti con gli altri addetti della metro. Tutti dipendenti dell’Atac, tutti col doppio lavoro. Per questo la più grande partecipata dei trasporti pubblici d’Italia avrebbe avviato una serie di indagini interne per capire quanti dei suoi 11.771 dipendenti (di cui 5.560 autisti, 517 macchinisti e 1.651 operai delle officine) gonfino i guadagni con attività esterne mai dichiarate all’ufficio del personale. Di più: il sospetto è che in tanti svolgano il secondo (in alcuni casi il terzo) impiego anche durante l’orario di servizio pagato dalla partecipata del Campidoglio, e quindi dai romani.

ASSENZE SOSPETTE
Una cosa è certa: il tasso di assenza nella municipalizzata di Roma è quasi il doppio rispetto a quello di Milano. Basta mettere a confronto i numeri dell’ultimo rapporto sulle presenze in servizio. All’Atac, nel primo trimestre del 2017, si è assentato il 12,1% dei lavoratori, senza considerare ferie e riposi settimanali. All’Atm, l’azienda dei trasporti meneghini, il tasso di assenza nello stesso periodo è del 6,8%. Significa che ogni giorno, nella partecipata del Campidoglio, circa 1.400 dipendenti danno forfait. Di questi, 750 sono autisti o macchinisti, oltre la metà dei quali non timbra il cartellino per presunti «problemi di salute». Una delle percentuali più alte è quella dei macchinisti (12,5 per cento di assenze), con le malattie che pesano per il 5,5 per cento e i permessi legati alla legge 104 per il 2,5 per cento. Le indagini avviate nelle ultime settimane dai vertici dell’Atac hanno fatto venire fuori un’altra anomalia. Riguarda le ore di guida effettiva dei macchinisti. Da contratto sarebbero 5 per la metro A e 4 e mezzo per la metro B.

Ma nei fatti, in base ad alcuni controlli interni, sarebbero molto più basse, mediamente di poco superiori alle tre ore. Anche per questo due giorni fa, tra i mugugni dei macchinisti, sono state introdotte norme molto più stringenti per attestare la presenza in servizio, a partire dall’utilizzo rigoroso del badge, introdotto dall’ex sindaco Ignazio Marino nel luglio 2015 e maldigerito dai conducenti, che infatti negli ultimi due anni hanno continuato a boicottarlo in ogni modo. Ecco perché l’azienda ha dovuto mettere nero su bianco, in una circolare interna, che d’ora in poi non sarà più «consentita elasticità o tolleranza rispetto all’inizio del turno». Chi scorda a casa il tesserino troppo spesso, ora rischia di finire sotto procedimento interno; ma anche di ritrovarsi con una busta paga più leggera, dato che «in caso di inosservanza dell’obbligo di timbratura sarà retribuito soltanto il tempo macchina programmato per quel turno», vale a dire i minuti di guida effettiva. Chi “striscerà” il badge anche solo con qualche attimo di ritardo, invece, perderà nello stipendio mezz’ora di lavoro.

LA STRATEGIA
La stretta sulle assenze varata dalla nuova governance di Atac rientra in una strategia più ampia per rimettere sui binari giusti la malandata partecipata dei trasporti romani. Il nuovo direttore generale, Bruno Rota, dopo avere studiato numeri e conti, ha presentato il piano industriale in Campidoglio poche settimane fa, anche se la giunta M5S non si è ancora espressa. Uno dei passaggi centrali è proprio la produttività dei dipendenti. Solo così si può salvare un’azienda gravata da un debito di 1,2 miliardi di euro (oltre 350 milioni solo con i fornitori) e con bilanci in rosso da anni.
 

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