Appalti Romeo, il giallo dei "pizzini" nella discarica

Appalti Romeo, il giallo dei "pizzini" nella discarica
di Leandro Del Gaudio
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Giovedì 9 Febbraio 2017, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio, 14:16

Un insieme di «pizzini», bigliettini di carta che potrebbero rappresentare la prova delle tangenti pagate dal gruppo Romeo. Pizzini trovati nella Capitale, in una discarica, dove finivano quotidianamente i fogli e le cartacce prodotte nel corso di una giornata di lavoro di Alfredo Romeo, nel suo quartier generale di via Pallacorda, a Roma.

LE CIMICI
È una delle novità del decreto di perquisizione, eseguito ieri a carico del patron del gruppo imprenditoriale negli uffici della Romeo Gestioni al Centro Direzionale e l'Albergo Romeo, in via Cristoforo Colombo, a Napoli. Dopo le intercettazioni ricavate spiando manager e consulenti con «trojan» o con cimici negli uffici del gruppo Romeo (balconi compresi), nell'inchiesta dei pm Celeste Carrano e Henry John Woodcock, spuntano i «pizzini» in cui venivano segnati importi di presunte tangenti e destinatari. La scena è questa: Romeo in ufficio al colloquio con presunti «faccendieri» o stretti collaboratori. Non sa di essere intercettato, però, quando il discorso cade sui soldi e target - scrivono gli inquirenti - tende ad abbassare la voce, prende carta e penna e scrive. Si legge nel decreto di perquisizione: alcune intercettazioni risultano «arricchite o corroborate dal contenuto di alcuni pizzini acquisiti nella discarica comunale di Roma, provenienti dai rifiuti smaltiti nel corso della giornata lavorativa dello stesso Romeo». C'è, poi, l'interrogatorio di un indagato, che ha ammesso di aver «ricevuto dal Romeo cospicue somme di denaro provenienti dal nero prodotto dalle sue società». Chi è l'accusatore? Domanda al momento senza risposta. Vicenda complessa, e c'è un altro retroscena relativo all'idea di acquistare un giornale per sostenere le proprie iniziative imprenditoriali. In queste ore ha preso forza l'idea di un tentativo di acquistare l'Unità, progetto mai decollato. Difeso dai penalisti Francesco Carotenuto, Alfredo Sorge, Giovan Battista Vignola, Romeo ha dato due volte forfait ai pm. Centrale, a leggere gli atti, il rapporto con il suo consulente, ed ex parlamentare Italo Bocchino. Tra i due - secondo i pm - ci sarebbe stato una sorta di «protocollo criminoso», finalizzato ad oliare gli ingranaggi della pubblica amministrazione, in cambio di appalti. In che modo? Finte consulenze; oppure fatture gonfiate per prestazioni inesistenti, per girare soldi ai vari target individuati. Difeso dal penalista Luigi Ferrante, Bocchino si dice pronto a difendere la correttezza del proprio operato.

NOMI ECCELLENTI
Le accuse? A Napoli come a Roma, secondo la ricostruzione della Procura, sempre lo stesso «protocollo». I pm hanno individuato anche il ruolo «di società estere», in particolare inglesi per schermare giri di soldi. Uno scenario in cui risulta decisivo il rapporto con Carlo Russo, l'«omino» in una intercettazione, a sua volta ospite nell'albergo di Romeo e in grado di vantare un rapporto di amicizia con il padre dell'ex premier Tiziano Renzi. Inchiesta che svela oggi molti aspetti. E tanti nomi. Nel decreto di perquisizione, si fa riferimento ai rapporti tra Bocchino e Stefano Caldoro, ex presidente della Regione, e Natale Lo Castro, direttore amministrativo della azienda ospedaliera Federico II. In cosa consiste la triangolazione? Caldoro e Lo Castro non risultano indagati per fatti di corruzione, ma i loro nomi finiscono agli atti in relazione ad alcune conversazioni su un appalto che l'azienda ospedaliera era in procinto di bandire, ma anche alcuni appalti banditi dalla Soresa. Ed è proprio dal fiume di conversazioni in azienda tra Bocchino e Romeo, che il discorso cade su due fratelli e politici del Pd: Marcello Pittella (governatore della Basilicata) e Gianni Pittella (vicepresidente del Parlamento europeo), in relazione ad alcuni interessi a Potenza del gruppo napoletano (va precisato che i due fratelli Pittella non risultano indagati).