Lo scempio dei vandali all’altro Colosseo

di Mario Ajello
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Lunedì 8 Febbraio 2016, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 00:15
Stavolta, i barbari siamo noi. Non sono tornati gli hooligan olandesi che spaccarono la Barcaccia berniniana a Piazza del Popolo. I vandali che all’Eur si sono accaniti adesso contro il Palazzo della civiltà del lavoro, o Palazzo della civiltà italiana, o Colosseo quadrato, appartengono al pianeta criminale di qui. Appartengono al ventre barbaro di Roma. Hanno massacrato, a colpi di piccone e di bastone, la scalinata di questo che è uno dei palazzi più belli del mondo, un gioiello non solo dell’architettura fascista e dell’arte italiana ma un patrimonio universale del vivere civile. 

A osservarla ora, questa scalinata così carica di storia e ormai distrutta, sembra di tornare con lo sguardo alle immagini di quando, tra la fine della guerra e il primissimo dopoguerra, questo luogo progettato da tre firme dell’architettura nel 1937 - Guerrini, Lapadula e Romano, e Mussolini personalmente aveva scelto dove erigere questo edificio razionalista e metafisico - fu luogo di bivacco desolato, sbrecciato e incompiuto, perchè i lavori non erano stati ultimati, delle truppe tedesche e poi accampamento degli americani e rifugio per gli sfollati. Ma quelli, appunto, erano tempi di guerra. Ora, è intollerabile qualsiasi cedimento alla furia distruttiva e tutta l’indignazione possibile, per l’ennesimo attentato alla grande bellezza, deve avere la forza di esprimersi. Superando una volta per tutte quell’atteggiamento doppiopesista, cioè ipocrita, che purtroppo ci riguarda. 

Si è fatto una grande scandalo, nell’ottobre del 2015, quando in questo palazzo che fu progettato per la mancata Esposizione Universale del 1942 - e poi sarebbe stato abbandonato o semi-abbandonato a lungo e fino a tempi recentissimi - si svolse la festa di inaugurazione della maison Fendi che lo ha preso in affitto per 15 anni e vi ha impiantato il suo quartier generale. Venne montato sulla terrazza un gazebo mobile, di vetro e acciaio, subito rimosso a party concluso e le vestali del purismo bacchettone, del feticismo dell’intoccabilità sia pure momentanea e rispettosa delle opere d’arte, scatenarono strepiti e polemiche. E adesso, che il danno è vero, che cosa bisognerebbe fare? Un’insurrezione di popolo, guidata dagli intellettuali e dai sapienti sempre pronti a gridare al lupo al lupo, e stavolta il lupo c’è? Come minimo bisognerebbe reagire così. Perchè una città che s’indigna per un roof garden di una serata e poi non s’indigna per un massacro come quello appena compiuto, e invece di ribellarsi tace, si rende in qualche modo complice dei criminali con la propria indifferenza e la propria schizofrenia. Occorrerebbe per esempio la rivolta dei registi in difesa del Colosseo Quadrato. Che non è celebre soltanto per le scritte vergate da Mussolini di suo pugno e scolpite sulle facciate - «Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori» - ma anche perchè il meglio del cinema italiano ha ambientato dentro e fuori questo parallelepipedo bianco di travertino alcune scene cult. Da «Roma città aperta» di Roberto Rossellini a «Ok, Nerone» di Mario Soldati; da «L’eclisse» di Michelangelo Antonioni a «Otto e mezzo» di Fellini; dalle pellicole di Vittorio De Sica a quelle di Elio Petri e di Bernardo Bertolucci, il Palazzo groviera non fa mancare la propria imponenza spettacolare. Si dovrebbero rivoltare, in suo nome, Paolo Sorrentino che qui intorno ha girato sequenze della «Grande bellezza», o Fausto Brizzi visto che in «Notte prima degli esami» si serve anche di questo set, o Nanni Moretti che di Roma, Eur compreso, è una sorta di vate. E così anche i video-maker e i musicisti (si veda la clip di «Meraviglioso» dei Negramaro) e i creativi che hanno sempre amato e immortalato questo edificio scelto giustamente da Fendi come sede e i pubblicitari come quelli della Nike e del suo spot del 2000 in cui si vedono i campioni del calcio europeo (compreso Totti che abita non lontano da lì, e Guardiola e Thuram) che prendono d’assalto il palazzo. Ma per renderlo ancora più centrale nel nostro immaginario. Mentre i barbari dell’altra notte lo hanno voluto sfregiare a morte. Senza che una telecamera - zero protezione per un monumento così dovrebbe essere qualcosa di impensabile - potesse smascherarli. L’indifferenza, insomma, non deve prevalere ancora una volta, come le accade sempre. E la punizione dei criminali, se ci sarà dovrà essere commisurata al grave atto compiuto. Sarebbe bello che il commissario Tronca, venendo dalla bomboniera di Milano, si adoperi per colpire i responsabili di questo scempio. Ma senza l’aiuto di tutti, nel recupero di un protagonismo civico in difesa dei simboli della nostra identità, la vergogna non finirà mai. 

 
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