Addio a Settimio Piattelli, sopravvissuto alla Shoah: aveva 95 anni

Addio a Settimio Piattelli, sopravvissuto alla Shoah: aveva 95 anni
di Valeria Armaldi
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Lunedì 29 Agosto 2016, 13:12 - Ultimo aggiornamento: 30 Agosto, 13:38

Un lungo elenco di nomi di quanti aveva visto vivi nei campi. Il silenzio, invece, davanti a parenti e amici di quelli che aveva visto morire, per non dare loro una notizia che comunque avrebbero capito da soli, poco dopo. E il ricordo indelebile di quanto aveva osservato e subito, perché «Auschwitz - diceva spesso, come riporta Marcello Pezzetti nel suo libro sulla Shoah Italiana - ce l'hai qui dentro er cervello, nun va via più, nun può andare via mai». È morto, sabato, a 95 anni, Settimio Piattelli, uno degli ultimi testimoni italiani della Shoah. A dare l'annuncio della sua scomparsa è stata ieri la Comunità Ebraica di Roma: «È sopravvissuto alla deportazione, vittima delle atrocità nazifasciste e testimone della memoria della Shoah. Un altro pezzo di storia che se ne va. Che il suo ricordo sia di benedizione». Catturato a Roma insieme al fratello, che però non sopravvisse, il 14 maggio 1944, fu portato al campo di Fossoli, a circa sei chilometri da Carpi. L'area, nata come prigione per i militari nemici nel 1942, era stata trasformata in campo di concentramento per ebrei a dicembre dell'anno dopo.

I RACCONTI DEL LAGER
Da qui partirono dodici convogli di internati. Piattelli vi rimase circa un mese, poi fu trasferito ad Auschwitz-Birkenau. Nella sua personale odissea, che ricostruì puntualmente nella deposizione che prestò a Roma il 16 luglio 1945 - era stato liberato il 7 aprile e riuscito a rientrare in città il primo luglio - anche una struttura a 13 chilometri da Stoccarda e l'ospedale di Waiblingen. Poi, Natzweiler-Struthof, dove «la sveglia era alle tre e i prigionieri erano tenuti tutto il giorno all'aperto con venti gradi sotto zero». Quando fu liberato era uno degli unici due italiani sopravvissuti nella struttura. Nei campi fu adibito a vari lavori. Taluni li effettuò vicino al crematorio. Raccontò, nella stessa deposizione, di aver «visto giungere i trasporti di donne, bambini e vecchi: il medico faceva le selezioni fra i lavoratori». Non risparmiò dettagli sulle atrocità che venivano commesse perfino per gioco.

«Una volta un sergente tedesco per scherzo li fece spogliare e li condusse davanti alle celle a gas e poi li rimandò indietro». Il giorno di Kippur, «i tedeschi li tennero tre ore sotto la pioggia per l'appello, poi li fecero mangiare al buio, a mezzanotte fecero la selezione».

«La sua sofferta testimonianza dall'abisso dell'orrore e lo straordinario esempio che poi ha donato, insieme agli altri sopravvissuti - commenta Noemi Di Segni, presidente Unione Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni - restano un lascito indimenticabile per l'intera società italiana».

«Se ne è andato di Shabbat - è il ricordo di Moked, portale dell'ebraismo italiano - come i Giusti».