Simonetta Cesaroni, la resa della Procura: «Archiviare il caso di via Poma». Dopo 33 anni nessuna verità

Roma, si avvia alla conclusione la nuova inchiesta sul delitto. L’ultima pista riguardava l’alibi dell’avvocato Caracciolo

Simonetta Cesaroni, la resa della Procura: «Archiviare il caso di via Poma». Dopo 33 anni nessuna verità
di Valentina Errante
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Giovedì 14 Dicembre 2023, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 10:32

 Ancora un flop. Che l’ultima riapertura, l’ennesima dopo 33 anni, dell’inchiesta sulla morte di Simonetta Cesaroni non avrebbe portato a un risultato era stato chiaro sin da principio, quando i legali della famiglia, sulla base delle segnalazioni di un ex dirigente della Mobile che aveva tra l’altro appena pubblicato un libro sul “giallo”, avevano sollecitato nuove indagini sul delitto di via Poma, il crimine irrisolto per eccellenza. Ora la procura di Roma ha chiesto di archiviare il fascicolo aperto nel marzo del 2022 dopo l’esposto presentato dai familiari della ragazza uccisa con 29 coltellate. Nel corso dell’indagine sono stati ascoltati una ventina di testimoni e sono stati rianalizzati gli atti dei processi precedenti. Ma non sono emersi elementi utili. I familiari di Simonetta, uccisa il 7 agosto del ‘90, però, non si arrendono. E a novembre hanno depositato in procura un nuovo esposto. E così quel drammatico omicidio, con mille errori nelle prime ore di indagine, e tante piste, che non hanno portato a nulla, resta ancora un giallo. 

L’INDAGINE

Inchieste, processi e un infinito numero di ipotesi investigative non sono riusciti a dare un nome a chi ha ucciso l’allora ventenne in un appartamento al terzo piano di uno stabile nel cuore del quartiere Prati, nell’ufficio dell’Associazione ostelli della gioventù. Lo scorso anno il fascicolo, aperto inizialmente senza indagati o ipotesi di reato, era stato incardinato per omicidio volontario contro ignoti. Al centro delle indagini l’alibi di uno dei personaggi che all’epoca aveva dovuto fornire un alibi: l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, allora presidente regionale degli Ostelli della gioventù. Anche l’allora dirigente della Mobile, Antonio Del Greco è stato sentito. Dopo la pubblicazione del libro, Del Greco sosteneva di avere raccolto la testimonianza di due donne: la moglie di una persona che avrebbe avuto rapporti con Caracciolo. La donna avrebbe raccontato all’ex poliziotto che proprio il 7 agosto il marito, ormai deceduto, avrebbe portato una camicia pulita in via Poma.

L’altra invece è di un’ex collaboratrice di Caracciolo che – sempre secondo Del Greco – avrebbe messo in dubbio il ferreo alibi dell’avvocato. Secondo la versione fornita all’epoca, Caracciolo quel pomeriggio aveva accompagnato sua figlia e alcune sue amiche all’aeroporto di Fiumicino. In ogni caso Caracciolo, che ha sempre dichiarato di non aver mai conosciuto Simonetta, è morto da anni. 

LA COMMISSIONE

L’attività dei pm ha viaggiato parallelamente a quella della commissione parlamentare Antimafia della scorsa legislatura. Nella relazione finale, i parlamentari hanno concluso che il portiere dello stabile, Pietro Vanacore poi morto suicida, «scoprì il cadavere» di Simonetta Cesaroni «ore prima dell’ufficiale ritrovamento del corpo». Secondo la commissione fu messa in atto un’attività «post delictum, intesa ad occultare l’omicidio o quantomeno a differirne la scoperta, oppure persino ad attuare un qualche proposito di spostamento della salma dal luogo in cui fu poi rinvenuta». Per i parlamentari «resta ragionevole credere che l’omicida fu persona che aveva un notevole livello di dimestichezza con lo stabile, se non proprio con l’appartamento. Si deve essere trattato di persona che poteva contare su un rapporto di confidenza con la vittima o che era in grado di approfittare della fiducia di Simonetta o quantomeno, in via subordinata, di non indurla in sospetto o in allarme, trovandosi a tu per tu, in situazione di isolamento». E ancora: «rimane estremamente probabile che l’omicida sia di gruppo sanguigno A, perché sarebbe altrimenti poco spiegabile che a tale gruppo sanguigno debbano essere ricondotte le macchie ematiche rinvenute su interno, esterno e maniglia della porta della stanza dove venne ritrovato il cadavere». Delle molte ipotesi «avanzate per spiegare questa risultanza degli esami sui reperti ematici, tutte comunque risultano conducenti nell’identificare il sangue repertato nell’appartamento come quello dell’omicida, magari anche frammisto a quello della vittima. Appare altamente probabile che l’aggressore si sia ferito nella colluttazione e nella ancor più feroce e violenta dinamica omicidiaria», scrive nell’atto conclusivo la commissione. 

 

I PROCESSI

L’ultima sentenza è del 2014, quando la Cassazione ha confermato l’assoluzione – già pronunciata in appello – di Raniero Busco, l’ex fidanzato della ragazza, che in primo grado era stato condannato a 24 anni di carcere. A incastrarlo, tracce del suo Dna ritrovate sul corpetto e sul reggiseno della vittima, evidentemente dovute a un recente rapporto sessuale tra i due. A scagionarlo, con una dura sentenza, per la Corte d’Assise d’Appello è stata l’inconsistenza delle prove e soprattutto la scarsa credibilità del movente proposto dall’accusa. Il primo a essere indagato e arrestato per l’omicidio, pochi giorni dopo il delitto, il 10 agosto, è stato invece Vanacore. Il portiere si era contraddetto sull’alibi e sui suoi pantaloni erano state individuate alcune macchie di sangue, che poi però non appartenevano a Simonetta. L’uomo è stato scarcerato dal tribunale del Riesame il 30 agosto. Il 26 aprile del ‘91 il gip ha definitivamente archiviato la sua posizione e quella di altre cinque persone. Ma Vanacore non riuscirà mai a liberarsi dal tormento di quel giorno. Va via da Roma, torna a +in provincia di Taranto e il 9 marzo del 2010 si butta a mare annegando in 50 centimetri di acqua, a pochi giorni dalla sua deposizione prevista nel processo a Busco. Nell’aprile del ‘92, era stato indagato Federico Valle. In quel palazzo suo padre aveva lo studio legale e lì viveva il nonno, l’anziano architetto Cesare Valle che la notte del delitto ospita il portiere Vanacore che gli presta assistenza. A coinvolgere il giovane era stato un austriaco, tale Roland Voller, informatore della polizia. L’uomo, amico della madre di Valle, sostiene che la donna gli abbia rivelato che, la sera del delitto, il figlio sarebbe tornato a casa in stato di forte agitazione e con altri segni evidenti – secondo Voller – della sua colpevolezza. Il 16 giugno ‘93 il gip proscioglie Valle per non aver commesso il fatto e lo stesso Vanacore, indagato per favoreggiamento. 

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