Vecchi sistemi, i candidati paravento e gli inganni contro Roma

di Mario Ajello
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Venerdì 12 Febbraio 2016, 00:03
Il florilegio, un po’ penoso, di nomi di facciata e di candidature finte per la guida di questa disastrata città non è degno di Roma. É clamorosamente al di sotto di qualsiasi aspettativa e di ogni esigenza di riscatto che si impone per una Capitale che viene da anni di non governo; di intrecci politico-criminali dominanti che hanno infettato l’intero sistema; di predominio di poteri marci di tipo partitico e amministrativo; di degrado e di crisi generale che hanno reso Roma non più attraente per i turisti e stanno rischiando di farle perdere tutto il suo fascino agli occhi del mondo. 

Un rischio, quello dell’immeritata decadenza, di cui i cittadini sono assolutamente consapevoli. E che produce in loro, oltre che sfiducia, rabbia. Più alti e urgenti sono i problemi di cui soffre la città, e più basso e inconsistente è il livello di chi, nella giostra delle candidature, si propone (o viene proposto) di andare al Campidoglio per fingere di risolverli. 

Da qualche giorno filtrano nomi di mezzibusti, di ex celebrità vere o supposte, di politicanti da sottobosco a cui sfugge - a loro e ai loro padrini - che la sfida di Roma deve essere all’altezza della Capitale e non può che essere giocata in chiave moderna e all’insegna di un profondo rinnovamento. Non ci possono essere truffe nei confronti degli elettori, come è quella inaccettabile e clamorosa di candidati sindaci presunti, anzi finti. 

Candidati sindaci che servono da schermo e da paravento, alla cui ombra si vorrebbe far perpetuare il solito vecchio sistema di potere ai danni dei cittadini e dei loro bisogni. Ovvero a gestire inconfessabili e occulti accordi affaristici e a praticare intrighi e pastette, per sfamare le clientele di chi propone questi nomi di facciata.

Vilfredo Pareto, grande studioso dei sistemi politici e delle loro degenerazioni, sosteneva che certe strutture partitico-burocratiche «usando largamente l'arte di raggirare il demos, badano a far quattrini sia per proprio vantaggio sia per saziare le bramose canne dei loro partigiani e dei loro complici; e d'altro poco o niente si danno pensiero». 

Di fatto, Pareto descriveva un sistema di tipo feudale, che poi è quello che in questi anni si è impiantato a Roma, in cui si usano le clientele politiche, «mentre la feudalità del medioevo usava principalmente la forza dei vassalli».
Bisogna insomma, da qui alle elezioni di primavera e anche dopo, impedire l'inganno per cui dietro a un finto nome di rinnovamento continuino in maniera gattopardesca le trame di partito più tradizionali, sempre tendenti alla conservazione del vecchio sistema delle consorterie che ha fallito agli occhi degli elettori e ha trascinato la capitale d'Italia nella vergogna. 

Roma purtroppo non è divisa in boroughs, cioè in tante municipalità come nel caso di Londra, che sono di fatto delle vere e proprie città anche fiscalmente autonome. L'assenza di questa condizione consente che si consumi una profonda ingiustizia, che è anche frutto di una sorta di appropriazione indebita. Ai cittadini di alcuni quartieri, nella città che soffre la più alta tassazione d’Italia, si chiede per esempio di pagare le imposte per il proprio rione, e per ricevere in cambio servizi per il proprio territorio, e alla fine invece nel pozzo nero rappresentato dall’amministrazione unica e centralizzata di Roma il "politico trafficante" - come lo definirebbe Pareto - dirotta questi fondi in quelle periferie dove punta a raccattare i voti delle sue clientele, a cui ha rivolto promesse elettorali. 

«Troppo a lungo abbiamo sopportato i padreterni a Roma», scriveva il futuro presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, in un celebre articolo, «e ora bisogna licenziare questo gruppo che spadroneggia». E va impedito - è il caso di aggiungere - che queste cordate e queste logiche sopravvivano sotto mentite spoglie, tramite prestanomi. Urge insomma individuare profili alti per i candidati e pretendere che la selezione sia basata sui criteri della competenza e dei meriti. È necessario che la delega sia data ai migliori, a coloro che rappresentino una discontinuità vera e siano dotati di ricette autentiche e capaci di fermare il declino di questa città, dei cui gravi problemi di vita quotidiana e di immagine globale i romani sono consapevolissimi e perciò spaventati. 

Il requisito minimo e indispensabile di un sindaco che sia all’altezza della situazione è che sappia mettere mano subito e bene - e se ce la facesse sarebbe già un successo - a tre piaghe di questa città: le buche stradali, i rifiuti, i servizi pubblici. Emergenze ineludibili e un sindaco che si dimostri in grado di affrontarle radicalmente sarebbe, già solo per questo che comunque é soltanto l'inizio, il sindaco adatto. Restituire a Roma, nella scelta delle persone e nella pratica di governo, tutta la dignità e l'orgoglio che merita é la premessa e l'obiettivo della nuova stagione politica. Che non ha bisogno né di trucchi né di inganni, ma anzitutto di una radicale operazione di verità. 

 
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