La missione che non c’è/ Sulla Capitale serve un patto, non barricate

di Mario Ajello
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Sabato 13 Gennaio 2018, 00:21
Roma balza al centro dell’attenzione nel duello Gentiloni-Raggi. E la polemica fa scintille. Non è che non si deve parlare di Roma. Ma si deve parlare “per” Roma. Cioè costruire progetti, pianificare percorsi, dare uno spessore, un senso, una missione alla Capitale e al ruolo generale che le spetta come cerniera della nazione e riassunto di ciò che è e vuole essere l’Italia. 

A Roma il 4 marzo si vota ma non si vota per Roma. Invece bisognerebbe trasformare queste elezioni nell’Urbe, come nel resto d’Italia, in una consultazione che abbia tra i suoi punti cruciali il destino della Capitale. Non è mai tardi, e questa fase di grandi scelte si presterebbe bene all’occasione, per mettere nero su bianco - al posto dei rispettivi interessi particolaristici e propagandistici non all’altezza del rango di Roma - un patto che preservi questa città dalle contese politiche e ne garantisca la funzione di Capitale, forte di quella forza che per esempio hanno Berlino o Parigi, a prescindere da chi sia il sindaco in carica. 

In questi anni, la strategia del Pd è stata quella di non togliere le castagne dal fuoco ai grillini che guidano il Campidoglio, per dimostrare l’inadeguatezza amministrativa di quel movimento. Ma proprio questa strategia, che pure ha sortito qualche vantaggio mediatico di parte, non sembra avere prodotto risultati: ovvero non ha portato miglioramenti nella vita pratica dei romani e nell’immagine pubblica della città. Anzi, il peggioramento è plateale. 
A fronte di quella che Gentiloni definisce un’amministrazione che non è «il massimo dell’efficienza», fatto incontrovertibile che è sotto gli occhi di tutti, romani e non, c’è stata una scarsa attenzione generale alla questione romana e i governi di questa legislatura non l’hanno messo in cima al loro impegno. Anche se, quando ci hanno meritoriamente provato, come nel caso del cosiddetto tavolo Calenda, l’iniziativa purtroppo non ha incontrato, per usare un eufemismo, l’entusiasmo della sindaca. Di fatto, per i romani, il risultato di questo insieme di disattenzioni, di questa svalutazione di Roma, è un doppio gap: il malgoverno amministrativo che dura da diversi anni e una Capitale che non è stata patriotticamente investita di una missione e di una centralità che la possano sottrarre al declino. 

Roma, al netto dei deficit gravi di chi la sta amministrando, non è stata insomma dotata degli strumenti per incarnare il ruolo-guida che le spetta. E non bastano normali scaramucce elettoralistiche, riferite a un luogo che come tutti gli altri non potrà mai essere, per coprire le vicendevoli responsabilità. E per sfuggire a ciò che non è stato fatto ma che si è ancora in tempo per fare: il governo si occupi di più della Capitale e la Raggi si occupi di più di Roma.
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