Roma M5S/ Il programma light del sindaco Raggi

Roma M5S/ Il programma light del sindaco Raggi
di Mario Ajello
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Domenica 24 Luglio 2016, 00:15
Forse è soltanto un apericena. E dunque si può capire, in attesa delle pietanze vere, che la ricetta Raggi sia ultra-light. E che le Linee programmatiche 2016-2021 per il governo di Roma Capitale, appena presentate, siano leggeriste come il finger food. Se la rivoluzione fosse un abbondante pranzo di gala, per usare una formula novecentesca, di quella promessa in campagna elettorale da parte del sindaco grillino non si vede ancora l’inizio. Le posate pesanti si fanno attendere sulla tavola.

Precedute per il momento dalle stoviglie biodegradabili che dovranno essere usate negli eventi pubblici secondo i nuovi precetti capitolini (la regina Elisabetta e Trump o la Clinton sono avvertiti: a Roma mangeranno nei piatti di carta) e insieme a forchette e coltelli eco-compatibili ed equo-solidali altre innovazioni e buone intenzioni sono previste in abbondanza. Nonostante il cardinale di Retz, che era un iper-pragmatico, nelle sue «Memorie» secentesche avesse consigliato: «Le buone intenzioni si devono esagerare meno di qualsiasi altra cosa».

Qui si andrà dal dimezzamento dei cartelloni pubblicitari (anche la «decrescita felice» vuole la sua parte) alle aree slow (ma in questo caso non c’entra il food) cioè a velocità 5 nel senso di chilometri orari (l’elogio della «Lentezza» di Milan Kundera comincia a valere come manuale di mobilità sostenibile); dai corsi per il benessere dei dipendenti comunali (chissà se saranno previste diete forzate per chi non mangia bio e cerca di sfuggire alle ciotole a impatto zero) a tutte le meraviglie iper-modern e post-modem dello smartworking, earlwarning, open government, open bus, coprojecting, videochatting (i cittadini potranno protestare via monitor), cloud computing. E via inglesizzando all’ombra di Marco Aurelio sul suo cavallo, il quale dev’essere un po’ perplesso - ma sempre incapace di perdere la speranza, da vero sapiente - proprio come lo vedeva il poeta premio Nobel, Iosif Brodskij, in uno dei suoi saggi più belli.
 
Nell’attesa della ciccia, questo sembra un po’, tra «democrazia partecipativa» e «moneta complementare» che è sempre meglio del baratto, un programma preconfezionato quasi a prescindere da Roma. Nel manuale da giovane marmotta del perfetto grillino, questo tipo di contenuti e di aspirazioni rientrano a pieno diritto (ovviamente naturale) e ci stanno assai bene. Ma di fronte all’inferno romano è proprio questo che serve? Le sfide da affrontare e le questioni da risolvere non sono piuttosto quelle che tutti conoscono - la legalità, i trasporti, i rifiuti, il decoro - e che sembrano invece sparite, ma forse è una svista, nelle linee di governo del nuovo Campidoglio nonostante su alcune di queste si sia basata la vittoria elettorale della Raggi?

Quanto ai fatti già espressi, il paragone tra i due sindaci grillini, la Raggi e Chiara Appendino, è a tutto vantaggio della seconda. Il che è comprensibile visto che Torino non è Roma e qui è tutto più difficile. Ed è anche vero che deliberare (la Appendino è a quota 29 delibere, mentre la Raggi è ferma a 4) non significa per forza fare e secondo gli antichi (ma chissà se è così) i popoli che deliberano agiscono poco. Tuttavia, il gap tra le due esperienze di governo al loro esordio è evidente e la borsa degli attrezzi della Raggi dovrà essere più pesante di fronte alle dimensioni della sfida che l’esponente cinque stelle ha deciso a suo tempo di intraprendere e che è riuscita elettoralmente a vincere. 

È ovvio che l’esistenza dei romani deve migliorare e che, come recita la tautologia capitolina, «la qualità della vita è tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Così come è un valore quasi commovente quello della biodiversità. O del bikesharing e delle piste ciclabili da incentivare. O del «confronto continuo con i cittadini» o della «costruzione della città a misura di bambini/e». Ma la sicurezza, che forse è l’urgenza numero uno insieme alla spazzatura non raccolta, può attendere? Quanto ai campi nomadi, i cui roghi continuano a intossicare le famiglie nelle periferie che hanno dato tanti voti al Movimento 5 stelle, le linee guida assicurano che per superarli ci sarà «un tavolo cittadino per l’inclusione delle popolazioni rom e sinti». E si spera che non si tratti semplicemente della riproposizione del vecchio motto democristiano della decadenza: «A ogni problema va costruito il suo tavolo».

Il tempo però è appena cominciato. E conforta il dubbio che quello presentato l’altro giorno possa essere un menù apocrifo, confezionato per nascondere le autentiche sorprese di governo che al momento giusto si sveleranno in tutta la forza del loro sapore. Dando a Roma il nutrimento solido che le serve per rimettersi in piedi. Ci si augura, insomma, che dopo le patate arrivi l’arrosto. O, ancora meglio, la bistecca di tigre.
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