L'esercito di disperati cinge ogni sera via Marsala, circonda tutte le stazioni. Una triste, quanto immutabile cartolina della città. C'è chi resiste, chi muore, chi vive di espedienti, chi dà fastidio all'incauto passante. Ma nulla negli anni sembra cambiare. Tra Esquilino e Colle Oppio, è facile inciampare in dormitori di fortuna se non proprio baraccopoli. Nei sottopassi meglio non avventurarsi (a novembre una donna è stata violentata e uccisa nel tunnel Corso d'Italia), come nelle ville, a cominciare da Villa Borghese (a settembre un'altra donna è stata legata e violentata). Guerre tra disperati che rendono alcune zone terre di nessuno. I residenti si tengono alla larga, il coprifuoco scatta al pomeriggio, il senso di insicurezza crea intolleranza. Fagotti indistinguibili storditi da alcol, freddo e dolore, si stendono davanti alle chiese, sotto i porticati di San Pietro, a Trastevere o nei parchi lasciati aperti e abbandonati.
FAVELAS LUNGO IL TEVERE
E sotto i ponti, lungo il Tevere, dove vere favelas nascoste nella vegetazione non invitano a scendere lungo il fiume. Un mese fa, il 20 gennaio un clochard ha accoltellato un poliziotto all'Appio, perché era stato invitato a spostarsi visto che impediva l'apertura di un supermercato. «Passiamo in tutte le stazioni, nel Tridente e in periferia. In ogni quartiere ci sono clochard da monitorare - spiega Augusto D'Angelo, un coordinatore dei servizi di Sant'Egidio - il grosso pericolo è l'isolamento sociale, abbiamo contato 6 morti di freddo, da qui l'appello a segnalarci i poveri sotto casa. L'accoglienza notturna è peggiorata e capisco che la disperazione e la mancanza di risposte, soluzioni possono generare maggiore incertezza sociale». Auto, roulotte, ponti, viadotti, parchi giochi: ogni angolo è rifugio di disperati dalle pendici di Monte Mario alla pineta di Ostia. Prova ne sono al mattino i cartoni, le bottiglie, il degrado. Una città sciatta e pericolosa, con invisibili ovunque anche nelle sue intercapedini. E terre di nessuno dove ciondolano immigrati senza né futuro né presente. Ma non è il senso di insicurezza crescente il grande cruccio di monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma. «Possibile non si riesca a trovare una soluzione? - si è chiesto - Mi dispiace per i poveri e mi dispiace anche per questa mia città che non sa trovare soluzioni». E resta in emergenza.
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