I due, la sindaca e il parlamentare, sono stati seduti a fianco per tutta la cerimonia in terza fila, ala destra. In prima ci sono il presidente Pietro Grasso, il governatore Nicola Zingaretti, i ministri Madia e Lotti. D'altra parte della sala, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente emerito Giorgio Napolitano, quella della Camera Boldrini. Giuseppe Pignatone, il capo della Procura che indaga sulla sindaca, si trova in nona fila.
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I due non incroceranno mai lo sguardo né si saluteranno al termine dell'inaugurazione. Tra le autorità anche Raffaele Cantone, capo dell'Anac, stesso discorso. Raggi stringerà la mano solo a Nicola Zingaretti (con il quale parlotta qualche secondo), alla Madia (solo perché le due si trovano di fronte) e al presidente Mattarella (un gesto rapidissimo). Poi la sindaca se ne va per quei corridoi che ha frequentato per tanto tempo. Ai cronisti che la intercettano a proposito dei rapporti con Grillo spiega: «Leggete il blog». Perché sul blog Beppe ha assicurato che le è «vicino in un momento che umanamente capisco essere molto difficile». Questo è il chiaro, quanto si vede. Poi ci sono gli sfoghi di «Virginia» ai consiglieri di maggioranza sempre più impazienti e pronti a prendere in esame l'ipotesi autosospensione. Agita le teoria del complotto: «C'è questa pressione perché i poteri forti vogliono riaprire il dossier olimpiadi». Sulla carta c'è tempo fino al 3 febbraio per riproporre la candidatura di «Roma 2024», già bocciata lo scorso autunno. Un'ipotesi che dal Coni nemmeno commentano: «Non esiste alcun ritorno in pista: Roma ha preso il treno». In Campidoglio raccontano di telefonate e sfoghi. Come quello che la sindaca ha avuto con l'assessore al Commercio Adriano Meloni, reo di averla messa nei guai con l'affaire Marra («Parli troppo»).
Chiusa nel fortino - le uscite pubbliche e non istituzionali della grillina si perdono ormai nella notte dei tempi - Raggi per la prima volta fa i conti anche con la presa di coscienza di Davide Casaleggio che va ripetendo nelle varie telefonate di queste ore: «Sono molto preoccupato». Non solo. Quasi l'ammissione di aver sottovalutato il punto di caduta del dossier Raggi per il resto del M5S. Il caso Roma rischia infatti compromettere l'immagine di tutto il movimento. E gran parte dei big pentastellati hanno spiegato al figlio del fondatore che sarebbe meglio staccare la spina subito sapendo che con molta probabilità il voto non è imminente, come invece potrebbe essere l'azione della magistratura a Roma. Davide ascolta, non dà sentenze, annuisce a chi gli spiega allarmato come stanno le cose, si limita a mettere in fila gli scenari, termina quasi tutti i colloqui così: «Non pensavo che la situazione fosse così grave, ne parlerò con Beppe». La folta ala dei parlamentari ortodossi è preoccupata e non ha alcuna intenzione di assistere a un eventuale processo di Virginia Raggi. Per questo si dicono pronti a chiedere le sue dimissioni in caso di rinvio a giudizio. I malumori non arretrano neppure dopo il silenzio imposto qualche giorno fa via blog. L'europarlamentare romano Dario Tamburrano ieri su Facebook ha pubblicato per intero l'articolo 21 della Costituzione scrivendo: «Nessuno potrà impedirmi di esercitare il diritto costituzionale di manifestare il mio pensiero. Non si fanno sconti a nessuno».