Primarie Pd, Morassut: «Il partito è lontano da Roma»

Primarie Pd, Morassut: «Il partito è lontano da Roma»
di Fabio Rossi
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Martedì 8 Marzo 2016, 08:47
Roberto Morassut, è deluso dal risultato ottenuto alle primarie?
«Sono contento che anche attraverso la mia candidatura le primarie abbiano avuto un senso più pieno, altrimenti sarebbero state davvero un fallimento. In queste settimane ho approfondito un rapporto con a città che non è mai venuto meno in questi anni. Ho potuto registrare una distanza anche tra il nostro partito e la città che in parte viene confermato dall'affluenza al voto».

Sui dati dell'affluenza c'è stata forte polemica. I vostri numeri sono stati subito più bassi di quelli ufficiali, che peraltro presentano un alto numero di schede bianche.
«I dati che abbiamo raccolto ci davano intorno ai 43 mila votanti. In ogni caso cambia poco e credo si possano dire due cose. Una positiva: nessuno come il centrosinistra e il Pd oggi è in comunque grado di mobilitare decine di migliaia di persone per scegliere il proprio candidato sindaco. Né il M5s, che nomina la propria candidata con 1.700 click, né tantomeno il centrodestra, che ancora non si è messo d'accordo né sul nome né sul metodo di selezione.

E quella negativa?
«Siccome la partecipazione attiva e consapevole è la linfa del nostro Dna, io considero quel dato di affluenza non soddisfacente, rispetto al quale sarebbe sbagliato applicare alibi rispetto alle inchieste giudiziarie e alle crisi politiche. C'è un distacco con la città: bisogna prenderne atto e adottare tutte le contromisure per colmarlo rapidamente».
 

A cosa attribuisce questa distanza della politica, e del Partito democratico, dai cittadini?
«Nasce da un'afasia politica di proposte e di idealità che purtroppo caratterizza questo momento storico nelle grandi città, in particolare a Roma. Il mio sforzo è stato quello di mettere al centro i contenuti, ma è purtroppo stato molto difficile parlarne. Ci si è concentrati su aspetti esteriori, come le appartenenze e gli endorsement, di cui ai cittadini interessa poco».

Nella sua sconfitta, domenica scorsa, quanto ha pesato il voto di apparato?
«Ho riconosciuto la chiarezza del successo di Giachetti. Nello stesso tempo devo dire che è evidente a tutti come il peso degli apparati abbia influito molto: dal sostegno del Governo, della Regione e di gran parte degli eletti. Il mio voto è stato frutto di un consenso diffuso, di stima personale e di molte persone libere che sono lontane da ogni appartenenza correntizia».

In queste condizioni è pensabile una vittoria del Pd e del centrosinistra alle elezioni di giugno?
«Ci sono buone possibilità, a tre condizioni: uno schieramento ampio e articolato, che parli a sinistra ma si apra a civici e moderati; liste aperte e fresche, non condizionate dai bilancini di corrente; un programma chiaro fatto di pochi punti essenziali e concreti, da realizzare in cinque anni».

C'è chi dice che, visto il quadro cittadino, a partire dalla difficile situazione finanziaria dell'amministrazione, convenga quasi perdere e lasciare il cerino in mano ad altri. Lei è d'accordo?
«Roma si trova al punto più basso della sua storia recente e non potrà risollevarsi se non si parte da un accordo chiaro con lo Stato, con il Governo e anche con la Regione. Un accordo che abbia come premesse fondamentali l'abbassamento delle tasse su famiglie e imprese e il rafforzamento della capacità di investimenti su opere pubbliche e servizi, soprattutto nelle periferie».

Dopo le elezioni serve subito il congresso del Pd della Capitale?
«Il congresso per il partito romano è fondamentale e necessario. Ora ovviamente prevale l'impegno per la campagna elettorale, ma dovrà esserci un momento alto e solenne per raccogliere le forze e costruire un programma di lungo respiro e di azione sulla città, senza la quale la nostra esperienza in città resterà asfittica».

Entrerebbe nella squadra di Giachetti, se glielo chiedessero?
«Spetta a Roberto fare le scelte più opportune. Io comunque resto a disposizione, anche senza una chiamata diretta».
 
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