Roma, il Direttorio M5S lascia solo il sindaco. Di Maio: io mi sono scusato, e lei?

Roma, il Direttorio M5S lascia solo il sindaco. Di Maio: io mi sono scusato, e lei?
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Sabato 10 Settembre 2016, 08:12

ROMA Depotenziato, contestato nel direttorio per il modo maldestro in cui ha gestito la questione romana ma deciso a riprendersi il ruolo di candidato premier e non farsi scalzare e declassare. Luigi Di Maio non ha fatto passare neanche 24 ore dal summit con Beppe Grillo per lanciarsi alla riconquista della leadership, punzecchiando per la prima volta anche la Raggi .
Cosa farete ora?, gli è stato chiesto. «Spero di portare questo movimento, insieme a tutti gli altri, al governo dell'Italia», ha risposto. Dove è sottinteso chi ci sarà alla guida del M5S, l'unico patentato al ruolo di leader: lui. Un messaggio forte e chiaro lanciato dal palco di Formigine (Modena). Un nuovo attacco a Renzi e a chi «a Roma ha usato un manganello contro il M5S», Ma di fatto un messaggio ad uso interno, il tentativo di riprendersi la scena dopo le fughe, i giorni della Grande bugia e del silenzio. Far sentire di nuovo la propria voce era diventata una necessità assoluta per ricucire l'immagine scalfita dalle pubbliche scuse e dal mea culpa di Nettuno.
LA COLTELLATA
Sullo sfondo rimane sempre la mail pubblicata dal Messaggero, quella in cui Paola Taverna lo informava che l'assessore Muraro era indagata. La pubblicazione di quella informativa ha scatenato una guerra di veleni sotterranei nel movimento con una caccia al colpevole che ancora continua. Chi aveva interesse a mettere Di Maio con le spalle al muro?
I rapporti con Di Battista e con la filiera del deputato romano restano tesi e questo nonostante la mediazione di Beppe Grillo e il patto di non belligeranza siglato all'Hotel Forum. Ma anche con la Raggi siamo ai ferri corti. Quando gli è stato chiesto se anche il sindaco debba scusarsi, lui, Di Maio, senza stare lì a pensarci, ha detto: «A Roma c'è un sindaco, chiedete a lei, io ho risposto per me».
Insomma, partito Grillo, i galli hanno subito ricominciato a beccarsi. La Ruocco nella sua bacheca Facebook si è messa in copertina con Paola Taverna appena liquidata insieme al minidirettorio. E Di Maio è tornato a fare il leader in pectore. Di Maio contro tutti e contro Di Battista. Dibba gira in scooter. Lui in Mini Morris. Dibba è scamiciato, Di Maio in giacca e cravatta. Il primo vive alla Collina Fleming ma gioca a fare il Che Guevara, le folle lo acclamano. Il secondo ha il look di un bancario e i suoi comizi si concludono immancabilmente con il coro presidente! presidente!
LA VENDETTA
Di Maio contro Di Battista ma anche contro Virginia Raggi che pure aveva protetto nei giorni in cui dalla Lombardi e dalla Ruocco partivano strali avvelenati. Il sospetto che anche il sindaco lo abbia tradito è forte. Che nello scaricabarile lui sia stato l'unico a rimetterci. D'ora in poi il vice presidente della Camera si occuperà solo di cose nazionali. Alzerà il suo profilo e si occuperà solo di referendum facendo da contraltare al premier Matteo Renzi, un suo pari-livello. E Roma? La Raggi sembra abbandonata dai vertici M5S al suo destino. L'ordine è farla decantare fino al referendum. Al contrario di quel che avveniva quando c'era la corsa a salire sul carro del vincitore, ora chi tocca Roma si brucia. Il sindaco dovrà cavarsela da sola. Senza Marra, senza la Taverna,e senza Vignaroli, senza lo studio Sammarco che suggeriva i nomi degli assessori. Ma soprattutto senza Di Maio. Allontarsi sarà la sua vendetta.
LA CONTESTAZIONE
Ma a Formigine Di Maio si è dovuto sobbarcare inevitabilmente ancora le grane degli enti locali, delega da cui però Davide Casaleggio lo vorrebbe sollevare. Ad assumere il controllo della situazione è entrato in campo un fedelissimo, il deputato Alfonso Bonafede, già investito del ruolo di responsabile enti locali per il centro e le isole. È Bonafede a premere il tasto reset: «A Roma abbiamo già detto quello che dovevamo dire». Questo non ha impedito che in piazza a Formigine si presentasse una piccola delegazione di attivisti pentastellati di Parma tra cui la moglie di Federico Pizzarotti, il presidente del consiglio comunale di Parma e diversi consiglieri che dopo la sospensione del sindaco si sono a loro volta autosospesi. Ci sono andati per incontrare proprio lui, Di Maio, e hanno inscenato una protesta composta e silenziosa sollevando cartelli con la scritta 108 giorni senza risposta riferendosi al lungo lasso di tempo in cui è rimasta congelata la pratica Pizzarotti. «Lo so, sì, sì, lo so, lo so», ha detto Di Maio stringendo le mani degli attivisti. E poi nulla più.
Claudio Marincola
Stefania Piras
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