La polveriera della Capitale

di Mario Ajello
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Martedì 7 Giugno 2016, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 00:11

Roma s’è scoperta la capitale della rabbia. Non la rabbia del non voto, che era quella prevista da molti, ma una rabbia attiva. Infatti qui si è votato più che altrove. Non la rabbia retorica o da lagna - come accadeva nell’Ottocento di Giuseppe Gioachino Belli in cui l’inscalfibile immobilismo del potere papalino produceva sfoghi ma non vere reazioni - e viceversa la rabbia che sceglie platealmente una direzione, quella grillina, e un impegno: mai più i poteri marci, basta con i vecchi partiti e con le logiche di sempre che hanno affossato questa città. 

A guardarla adesso, Roma è una polveriera in cui le elezioni hanno acceso una miccia. Perciò il voto che è emerso - e che è riassunto in quel 35 per cento grillino sommato al 20 della Meloni che ammonta a un maggioritario 50 per cento di segnali di protesta - va maneggiato con cura da chi ne ha beneficiato e riempito dei contenuti e di una visione sul futuro della Capitale che essa merita dopo tante umiliazioni patite. 
Qui il Movimento 5 Stelle ha ottenuto il suo successo più macroscopico. E non possono che essere molto alte le aspettative che alla luce di un simile plebiscito - per effetto del quale il Pd ha dimezzato i suoi voti precipitando a un 17 per cento a fronte del 35 del movimento che nacque sul «vaffa» ed è in parte diventato altra cosa - i romani coltivano, ormai esausti per tutto ciò che è accaduto: dalla fallimentare esperienza di Ignazio Marino a Mafia Capitale, fino alla polverizzazione dell’offerta politica da parte dei partiti da sempre più attenti alle proprie dinamiche interne e agli scontri di potere piuttosto che concentrati sull’interesse pubblico. 
La stagione nuova che si è aperta con questo voto, se non sarà ben scritta e ben interpretata, può correre il rischio di risultare un salto nel vuoto. Vanificando una richiesta di cambiamento sociale e politico (più di testa che di pancia, evidentemente, e guai a sottovalutare le reazioni dei romani) che non arriva soltanto dalle periferie in cui la Raggi e la Meloni spopolano ma riguarda l’intera città. 
In questo voto c’è il concentrato della crisi del Pd, e il portato dei suoi errori, ma anche la debolezza di un candidato, Giachetti, che s’è dimostrato più debole del suo partito, almeno alla luce del fatto che in gran parte dei municipi sono i candidati dem a guidare la gara per i ballottaggi e non i rivali M5S. Ciò rende ardua la battaglia del secondo turno per Giachetti, che parte da meno dieci punti, anche se la storia dei ballottaggi è piena di rimonte. Come fu quella di Alemanno su Rutelli nel 2008, o di Guazzaloca quando diventò il primo sindaco non comunista di Bologna, o del grillino Pizzarotti a Parma (rimontò 20 punti), o del «sindaco scalzo» di Messina - Renato Accorinti - che recuperò oltre 25 punti sull’avversario democrat, Felice Calabrò. 
Nel caso di Giachetti, non è detto che ci sarà in suo favore un travaso di consensi moderati, visto che Berlusconi ha dato indicazione di votare scheda bianca: il che è un tentativo di ricucitura con la Meloni. Anche la trattativa con la sinistra non parte molto bene, perché Sel pretende che in cambio all’appoggio su Roma il Pd appoggi de Magistris nella «Napoli derenzizzata». Il che appare una provocazione. Nella Roma capitale della rabbia, sarebbe uno spreco se la buona affermazione della Meloni nelle periferie servisse soltanto sul mercato della politica interna al centrodestra e alle sue diatribe e non venisse messa a disposizione della città, fuori da politicismi e da partite di tipo nazionale che non interessano chi vive in questa città. Bisognosa del concorso di tutti e di una proposta forte, con cui confrontarsi, che è quella finora mancata nel primo tempo della campagna elettorale. Roma si merita di andare oltre, ma senza minimamente trascurare i fondamentali, il tappare le buche o il riordinare il sistema della raccolta dei rifiuti e soprattutto può prescindere da proposte stravaganti. Come alcune di quelle che si sono sentite finora e che ci hanno attirato le ironie - quella fase non doveva essere finita una volta per tutte con la sindacatura Marino? - dei media stranieri sempre pronti ad approfittare dei pretesti che mettiamo a disposizione. 
La fantasia al potere non è richiesta. E l’ordinario non basta - occhio a non sciupare l’occasione straordinaria delle Olimpiadi 2024 - per una città a vocazione di protagonismo globale fin da quando la storia l’ha messa al mondo. Dunque, Roma deve scommettere su Roma. Fecondando di positività la rabbia che ha espresso in queste ore. 

 
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