Atac, l'ex direttore generale Rettighieri: «Sistema clientelare che ha sponde nella Giunta»

Atac, l'ex direttore generale Rettighieri: «Sistema clientelare che ha sponde nella Giunta»
di Lorenzo De Cicco
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Venerdì 2 Settembre 2016, 08:01 - Ultimo aggiornamento: 11:46

Tra qualche giorno, Marco Rettighieri, parteciperà a un convegno sulla «resilienza» dei manager, vale a dire la capacità di «riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà», spiegano i manuali di psicologia. E questo, di certo, è uno dei momenti della sua, di vita, in cui dovrà mettere in pratica questa attitudine. Perché lui, ex general manager di Expo, classe 1958, ieri ha lasciato i vertici Atac, la più grande partecipata del trasporto pubblico d'Italia, dopo solo sette mesi da direttore generale. Sette mesi vissuti pericolosamente, verrebbe da dire, sfidando quel «consociativismo clientelare» tra sindacati e politica che aveva denunciato il suo predecessore, Francesco Micheli, anche lui dimessosi anzitempo.

Governare Atac è una sfida impossibile?
«Ma no, noi ci abbiamo provato, facendo cose normali. Sono stato spietato ma giusto, come mi hanno insegnato in Ferrovie. E ho segnalato alla magistratura tutte le anomalie che ho riscontrato».

Tante anomalie, considerato che ha presentato in Procura sei esposti in sette mesi. Quasi un record...
«Ma era un nostro dovere farlo e certo non ci siamo divertiti. Anche se, sinceramente, tante cose erano risapute. Non siamo i geni della lampada. Ci siamo solo comportati in modo trasparente e onesto. Forse però abbiamo colpito zone intoccabili».
 
Si riferisce anche ai sindacati, ai quali ha tagliato migliaia di ore di distacchi illegittimi e a cui ha sottratto il business (milionario) delle mense aziendali?
«Guardi, il potere di sindacati e politica in Atac è molto forte. Noi abbiamo cercato di arginare quel sistema di cordate e clientele. E in parte ci siamo anche riusciti, cercando di riportare questa azienda colabrodo alla normalità. Poi alcuni si sono rivoltati contro».

Crede che le sigle di cui ha toccato gli interessi abbiano trovato sponde nell'attuale amministrazione M5s?
«Sì, diciamo che posso avere avuto questa percezione. Ma sono un tecnico, non un politico. E ho lavorato fino all'ultimo per fare il bene di Atac e di chi usufruisce i mezzi pubblici di Roma. Alcuni sindacalisti ieri mi hanno ringraziato».

Una cosa è certa: a un certo punto il suo rapporto con la giunta Raggi si è rotto. Quando ha denunciato pubblicamente «ingerenze sulle nomine interne» dell'azienda.
«Vere e proprie intromissioni. Messe nero su bianco in una lettera firmata dall'assessore ai Trasporti, Linda Meleo. E negarle è impossibile».

In sostanza il Comune ha chiesto di avere una «visione preventiva» di tutti gli spostamenti dei dirigenti...
«Ma questa cosa è impensabile, anche dal punto di vista legale, oltre che del buonsenso. La politica non dovrebbe intromettersi in una società, anche se è una sua partecipata, ma solo fornire le linee di indirizzo».

È vero che lo scontro è nato dopo la rimozione di un manager iscritto al M5S, che era a capo della ferrovia Roma-Viterbo?
«Non voglio fare nomi. C'è una lettera dell'assessore che parla chiaro e anche una telefonata intercorsa tra me e lei. Ma i problemi con il Comune sono stati anche altri, questo è stato l'ultimo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Pensi anche ai fondi per la metropolitana, che non sono mai arrivati sul nostro conto corrente. I lavori dovevano partire a giugno, poi entro Ferragosto».

Su questo punto si è scontrato con il titolare del Bilancio, Minenna, che alla fine si è dimesso prima di lei...
«Il bonifico dei fondi ancora non ci è arrivato. Poi la delibera è stata poco chiara. C'era il rischio di aumentare il debito di Atac (che già ammonta a 1,3 miliardi ndr), perché il Comune si è riservato la possibilità di riavere i fondi indietro dall'azienda. Minenna ha detto che lui non ce li avrebbe mai chiesti, io gli ho fatto notare che gli assessori possono cambiare. Forse gli ho portato male...».

Proprio il debito di Atac è uno dei grandi gap per il rilancio dell'azienda...
«Abbiamo iniziato a ridurlo, e certo le cose sarebbero migliorate vendendo immobili per 90 milioni, come prevedeva il piano industriale. Ma la giunta era contraria. E intanto i debiti con i fornitori rendono difficile acquistare i ricambi, lasciando i bus nello stato che tutti conosciamo...».

Cosa resta dentro Atac, al capolinea del suo viaggio da diggì?
«C'è un grande lavoro di pulizia che deve essere portato a termine. Spero che qualcuno lo faccia».
 

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