Rieti, l'addio di "Piricozzo" Gunnella
al rugby giocato: «Ma non lascio
l'ambiente, sono stato troppo bene»

Alessandro Gunnella (Foto Itzel Cosentino)
di Valerio Coan
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Mercoledì 17 Maggio 2017, 12:01
RIETI - Sotto la corazza dei 42 anni del pilone Alessandro Gunnella si nasconde l’animo di un ragazzo innamorato visceralmente di questo sport. 

Gunnella o meglio "Piricozzo" per i suoi compagni di squadra, domenica scorsa ha giocato a Frascati la sua ultima partita con la maglia degli Arieti. Fosse per lui continuerebbe a macinare terreno nel suo carretto di mischia per molto altro tempo ancora ma giunti ad un certo punto ci si ritrova a dover fare i conti con l’età, il lavoro e soprattutto con i limiti imposti dalla Federazione. Con la vena di una già precoce nostalgia, ora che è arrivato il momento dice: «È ancora troppo presto per realizzare, ma bisogna andare avanti»

Ha incontrato la palla ovale quando aveva 11 anni dopo che il suo allenatore di calcio in seguito ad alcuni allenamenti in cui fisicamente sovrastava i compagni gli disse scherzosamente: «Ce li rompi tutti, lo sport per te è il rugby!».

Beh, a posteriori possiamo dire che sicuramente aveva ragione, e sarebbe anche da ringraziare per il consiglio dato. Gunnella comincia ad andare al campo in viale Fassini contro la volontà della madre che si preoccupava per la fisicità dello sport. «Mi sono segregato in casa per una settimana per farle capire che il rugby era l’unica cosa che volevo fare». Ha tenuto botta e grazie ad colloquio con il grande Paolo Martini - allenatore delle giovanili all’epoca - si è convinta, fortunatamente.

Il ricordo più bello risale a qualche anno dopo quando veste per la prima volta la maglia della prima squadra all’età di 16 anni. «Ricordo benissimo quella partita, era contro il Perugia. Avevo il vizio di entrare nei raggruppamenti e rubare la palla, questa cosa non piaceva ad un giocatore della loro prima linea che mi disse: «La palla non si strappa». «Come no?» risposi. Così al raggruppamento dopo feci lo stesso e nemmeno il tempo di toccare l’ovale e presi una botta pazzesca, mi aveva dato un cazzotto». 

Gunnella, più testardo che intimorito al terzo raggruppamento ripropose la sua specialità, stavolta con occhi chiusi per la consapevolezza di un altro colpo. «Sentii il rumore di un colpo ma non sentivo dolore. Alzai la testa e vidi il giocatore perugino a terra, dietro di me Roberto Borsi che gli disse: «Sto monello non se tocca!». Ero un ragazzino in effetti e tutti loro più grandi di me già dal primo allenamento avevano instaurato un rapporto di protezione nei miei confronti, cosa che poi io e i miei coetanei abbiamo fatto con le nuove leve. Questo anche è uno degli aspetti che mi hanno fatto innamorare di questo sport».

«In 31 anni che sono al campo ne ho viste veramente tante, ma mai troppe».

Già da inizio stagione c’era la consapevolezza che sarebbe stata l’ultima per "Piricozzo" che ad oggi confessa quanto avrebbe voluto dare di più sotto tutti gli aspetti. Giunti a Frascati nella sua ultima partita, prima di entrare in campo ha preso la parola tremante d’emozione: «Da quando gioco a rugby io ricordo le stagioni grazie ad una sola partita, grazie a quella che è LA partita, la più bella dell’anno. In questo campionato abbiamo meritato bellissime vittorie, ma per me ancora non è abbastanza per ricordare LA partita. Entriamo in campo e diamo tutto, regalatemi LA partita da ricordare». E tanto è stato, la prestazione corale più bella degli Arieti è stata proprio in quest’ultima partita nella quale Gunnella non è riuscito a trattenere le lacrime.

«I ragazzi con cui ho giocato nell’arco di questi trent’anni mi hanno scritto parole uniche, veramente belle. Credo significhi che almeno in parte ho restituito agli altri tutto quello che il rugby mi ha dato». 

Per il futuro ancora non si sa molto, l’unica cosa certa è che "Piricozzo" non abbandonerà la casa degli Arieti, come dice lui «Posso anche mettermi a fare le linee in campo, ma da lì non me ne vado».

«Non mi pento di nulla, ho vissuto un’esperienza fantastica sotto tutti i punti di vista».

Trentuno anni di gioco che l’hanno portato a diventare un colosso dal cuore enorme, un esempio vivente dei valori di questo sport, una vera e propria bandiera dei colori amarantocelesti.
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