Rieti, Npc e le emozioni del derby
con Roma vinto al supplementare
dopo aver dominato e poi rincorso. Video

I tifosi reatini festeggiano a fine gara insieme ad Angelo Gigli
di Emanuele Laurenzi
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Lunedì 20 Novembre 2017, 15:04 - Ultimo aggiornamento: 15:05

RIETI - L’elogio della follia, il trionfo della pazzia, l’esaltazione dell’incredibile, dell’impensabile, dell’inimmaginabile. Una gioia pazzesca, un urlo liberatoria, una boccata d’aria dopo un’apnea che sembrava interminabile. E sei lì ancora una volta a cantare e ad urlare, a piangere e a ridere, a saltare e ad abbracciare chiunque ti passi vicino. Sei lì con il cervello che ti dice che non può essere possibile e il cuore che corre, galoppa e impazzisce dopo essersi fermato una, due, tre volte negli ultimi 5 minuti della seconda partita finita ai supplementari in un mese e mezzo.
 



Sei lì a vivere quel pezzetto di storia amarantoceleste, sei lì con le mani nei capelli a guardare quel 97-100 sul tabellone del PalaTiziano e sei lì a realizzare che, dopo il PalaSclavo di Siena, hai visto crollare e conquistare dalla tua squadra un’altra cattedrale della pallacanestro italiana. L’impresa è compiuta, la Capitale è sbancata, la Npc chiude il cerchio e il conto con la storia e lo fa andandosi a prendere l’ultima vittoria che le mancava nel Lazio, ovvero quella a Roma con la Virtus.

LA GIOIA DI CATTANI E ROSSI
Nel pomeriggio strano e folle di metà novembre c’è un mondo, un universo che si muove dietro quella partita. Non lo capisci subito, perché quando suona la sirena non sai ancora se il cuore ha ripreso a battere, non sai se la voce c’è ancora, non sai in che punto del corpo è finito lo stomaco dopo un ottovolante di emozioni, un su e giù infinito, un colpo e contraccolpo senza sosta, un cadere e rialzarsi tante di quelle volte che s’è perso il conto. Troppo, davvero troppo, per essere lucidi, per pensare e realizzare.

E allora lasci che tutto si abbandoni alla gioia e vedi un uomo felice come un bambino il giorno di Natale, vedi Peppe Cattani e non lo vedi come presidente, ma lo vedi come un tifoso, come un reatino, come uno che soffre e gioisce proprio come te. Lo vedi correre dopo la sirena, lo vedi con le lacrime agli occhi e con la faccia rossa, la vena del collo gonfia. Lo vedi correre ed abbracciare l’uomo dei miracoli, lo vedi abbracciare Alessandro Rossi che, in una settimana ha tirato fuori due perle pazzesche, ha tirato fuori due vittorie in rimonta nelle quali nessuno avrebbe creduto, ha tirato fuori due partite che hanno fatto aumentare il lavoro dei cardiologi di Rieti e provincia. Vittoria di cuore e di orgoglio, quella contro Roma.

Vittoria nella quale l’aspetto tecnico passa in secondo, terzo, ultimo piano perché alla fine, fra qualche giorno o fra qualche anno, nessuno se li ricorderà i pick ‘n roll, i raddoppi o le difese a zona, ma tutti si ricorderanno di quegli attimi che hanno trasferito una partita dal piano dello sport a quello della mitologia. Attimi e secondi, come quelli che corrono via dopo un paio di minuti del supplementare: Roma scappa, piazza un  7-0 in un minuto e mezzo che stroncherebbe pure il Dream Team statunitense di Barcellona ’92, un 7-0 che annichilisce i tifosi, un 7-0 che suona come una sentenza.

MIRACOLO AL SUPPLEMENTARE
Ed è lì che accade il miracolo, è lì che Rossi trasforma l’errore in opportunità, l’inferno in paradiso, la disperazione in gioia. Chiama time out, tranquillizza i suoi, ridisegna schemi e incontro e ributta tutti nella mischia. Da quel momento è delirio amarantoceleste, aggancio e sorpasso nella maniera più folle e assurda che si possa pensare: Tommasini che si infila nel traffico e segna, poi si rinfila nel traffico, sbaglia l’appoggio, Gigli schiaffeggia il pallone verso Casini e a quel punto il mondo si rovescia.

Comincia lo show argentino, comincia il momento del gaucho, comincia il carosello albiceleste: Juan Marcos infila la tripla, poi corre sotto canestro, ruba la palla sulla rimessa, ricomincia l’azione e serve l’assist al bacio ad Hearst che infila la tripla sulla quale esplode tutta la Rieti della palla a spicchi, quella che era a Roma e quella che era rimasta a seguire la partita dalla città. Da 7-0 a 0-8 è un attimo, una scintilla, un’intuizione ed è Roma al tappeto. Perché da quel momento in poi la Virtus va sotto, barcolla e alla fine molla perché non ce la fa più e Rieti corre a vincere alla fine di un supplementare da delirio, chiuso con un’azione che è puro e semplice elogio della follia: Npc avanti di 3, 2”20 sul cronometro e fallo in attacco di Roma. Tommasini in lunetta, ne basta uno ma lui ne sbaglia due mentre tutti festeggiano e Roberts da centro campo spara un tiro con la palla che coglie il secondo ferro e schizza in tribuna.

Sarebbe stato il 100-100, sarebbe stato un altro supplementare, sarebbe stato qualcosa di ancor più pazzesco, sarebbe stato qualcosa che non c’è stato né mai ci sarà. Perché su quella parabola metà dei cuori reatini si è fermata e l’altra metà non s’è fermata solo perché tanti non s’erano nemmeno accorti di quel tiro. Troppo, davvero, per un fisico normale reggere una partita come quella di ieri.

L’ALTALENA DI EMOZIONI
Che è finita com’era cominciata: tra corse e rincorse, sorpassi e controsorpassi. Con Rieti che entra in campo e vola come non si vedeva da tempo, con un parzialone da 15-28 nei primi 10’, un Olasewere nuovo di zecca che martella il canestro avversario e la squadra che gira a mille e schizza in Paradiso. Poi il meccanismo s’inceppa, Corbani cambia, entra Maresca, Taylor sembra un aliena e Rieti non segna per 5 minuti 5, con Roma che infila un controparziale di 31-12, con buona pace della festa, dell’aria da derby, del sogno vittoria.

Intervallo sotto di 6, si riprende a giocare con Rieti che segna ma poi sbaglia e sbaglia e sbaglia e va sotto di 10: entra Maresca e punisce, Landi infila triple come se non ci fosse un domani e sembra fatta. Ma Rieti resuscita, infila triple, giocate mostruose e ricuce fino al pareggio, fino al punto a punto finale, fino alla tripla di Olasewere che porta al pareggio ad un’azione dalla fine sull’85-85. Roma se la gioca, cerca Taylor che spara la tripla ma la palla si incastra tra ferro e tabellone. Restano 3” da giocare, resta un respiro. Rossi ci prova a portarla subito via, chiama time out e in quel momento, guardandolo, capisci che c’è qualcosa di folle anche in lui. Perché sta lì, sereno, calmo e concentrato. Parla ai suoi, gli dà fiducia e li rimanda in campo.

Quelli rientrano e vanno ad un nulla dal tiro della vittoria e la reazione di Rosi è uno schiocco di dita, quasi un “poffarbacco” fanciullesco, quando intorno è un diluvio di imprecazione e disperazione.
Nasce da lì, probabilmente, la vittoria di Rieti, da quella sana e folle tranquillità. Perché il resto è supplementare, è caduta e risalita è una partita che l’elogio della follia, il trionfo della pazzia e l’esaltazione dell’incredibile. E’ quel derby vinto a Roma e un pezzo più di storia della Npc Rieti. 

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