Rieti, immigrati sfrattati: ora c'è
da capire chi se ne occuperà

Lo sgombero del villino
di Alessandra Lancia
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Sabato 6 Febbraio 2016, 06:23 - Ultimo aggiornamento: 13:57
RIETI - Undici giovani immigrati in cerca d’autore: non stiamo ancora al dramma (pirandelliano) ma quasi, con mezza città che gira intorno al caso dei disperati sfrattati dal villino-tugurio di via Salaria senza trovare una soluzione. Le loro povere cose - materassi, coperte, vestiti, fornelletti per cucinare - sono nel chiostro del Monastero di Santa Chiara, nell’ala dove si affaccia la mensa dei poveri. A dormire, almeno per questi giorni, vanno all’Hotel Blu. A mangiare vanno alla mensa di Santa Chiara, che per loro fa eccezione e apre anche a pranzo. Ma non può durare a lungo.
 
IL RISCHIO
Il rischio però è che superato il clamore dell’emergenza - lo sfratto dal villino che occupavano abusivamente da anni, e che dopo ripetuti tentativi è andato in porto giovedì mattina - della decina di giovani arrivati in città sull’onda dell’emergenza del 2011 e rimasti qui a vivere di espedienti non si interessi più nessuno. Da anni sono usciti da piani di assistenza finanziati dallo Stato ma da Rieti non se ne sono mai andati: alcuni di loro sono considerati soggetti «vulnerabili», altri semplicemente degli sbandati. La casa che occupavano senza che nessuno pagasse più l’affitto e le bollette di luce e gas ha funzionato praticamente da porto di mare: stranieri di passaggio o immigrati di ritorno a Rieti per rinnovare il permesso di soggiorno, lì dentro tutti erano ammessi. E non certo per condizioni da grand hotel.

Già al primo sfratto, effettuato dalla Polizia Municipale nel novembre 2014, si era visto in che condizioni si viveva in quella casa: persone ammassate dentro stanze senza luce né riscaldamento, con i bagni inservibili e file di tende a dividere gli spazi di ciascuno. E per un villino di via Salaria sgomberato, c’è un altro appartamento a Vazia dove pure vanno e vengono decine di immigrati dove prima o poi bisognerà guardare e mettere mano.
 
SOLUZIONE TAMPONE
Per adesso la decina di giovani sfrattati giovedì sono praticamente a carico della mensa di Santa Chiara e della Caritas. Martedì ci sarà un nuovo vertice in Prefettura per verificare se sono nelle condizioni di ricevere il sostegno dei Servizi sociali comunali o se del loro caso possano occuparsi le cooperative impegnate nei progetti di accoglienza. L’Ari, che per diversi mesi aveva sostenuto le spese di affitto e di luce e gas di via Salaria, continua a seguire la vicenda e a dirsi disponibile per trovare una soluzione ma non da sola. Ma i nodi di un’accoglienza che funziona solo finché ci sono i fondi pubblici stanno venendo al pettine e con i numeri attuali di stranieri sistemati in città e provincia la situazione potrebbe diventare ingestibile.

Ecco perché si chiede di alzare l’asticella della «qualità» dell’accoglienza, di spendere cioè il tempo e le risorse concesse per percorsi veri di integrazione e di conquista di un minimo di autonomia. Diversamente, il rischio è di ritrovarsi in casa decine di giovani stranieri che pensano di poter essere assistiti a vita. Problemi enormi, sicuramente troppo grandi per una piccola città, ma che gira che ti rigira è anche qui che bisogna provare a risolvere.
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