A parlare è il procuratore capo della Repubblica di Rieti, Giuseppe Saieva. A undici giorni dal ritrovamento nel bosco di Fonte San Paolo di Spedino del corpo della 33enne di Borgorose, scomparsa il 12 maggio e rinvenuta senza vita il giorno successivo, sono in verità ancora poche le certezze sul caso. Ma l'indirizzo preso dalle indagini della procura di Rieti punta decisamente sull'ipotesi dell'omicidio. Un «omicidio d'impeto», per la precisione, generato da un impulso irresistibile che ha generato un'azione tanto violenta quanto non premeditata, forse frutto di stati emotivi e passionali «borderline». Il presunto assassino di Mariangela avrebbe quindi agito con grande furia e concitazione. Furia e concitazione che gli inquirenti riscontrano nel profondo segno che la ragazza presenta intorno al collo, compatibile con un'azione di strangolamento effettuata non con le mani, ma l'ausilio di un «mezzo».
Si tratta di un segno alto circa un centimetro e che, secondo gli esperti, potrebbero essere stato prodotto da un nastro o una fettuccia, stretto con violenza e che ha portato al decesso per asfissia. La quantità di acido muriatico trovato nello stomaco della donna durante lo svolgimento dell'autopsia - acido contenuto in una bottiglia rinvenuta a una ventina di metri dal corpo - non è stata infatti ritenuta sufficiente per provocare un avvelenamento.
Ci sono poi gli indumenti che la ragazza indossava al momento del ritrovamento, compresa una grossa felpa, trovati completamente asciutti nonostante l'abbondante pioggia caduta nella notte della scomparsa. E, infine, il cancello che immette nell'area dove è stato ritrovato il corpo di Mariangela, chiuso dopo il suo passaggio. Elementi e indizi che attendono ora il riscontro degli esami di laboratorio dei Ris.
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