Npc Rieti, l'orgoglio reatino a Roma
nella gara che ha incoronato Benedusi
Le emozioni uniche della vittoria

I tifosi della Npc festeggiano il successo insieme ai giocatori
di Emanuele Laurenzi
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Lunedì 13 Febbraio 2017, 15:56
RIETI - La rabbia e l’orgoglio. Che si mischiano, si accavallano, si sostituiscono e si trasformano in un pomeriggio folle, pazzesco, unico, infinitamente bello. La rabbia che diventa orgoglio, che spinge all’impresa, che ubriaca di sensazioni uniche, che riempie di gioia indescrivibile, che scarica un’adrenalina che ti porti dietro per tutta la notte. La rabbia che sparisce e resta solo quell’orgoglio che ti porta a cantare, ad abbracciarti, a ricominciare a sognare, ad urlare a squarciagola nella città del Cupolone, sotto la cupola disegnata da Nervi, un sontuoso e perentorio “Su jemo a Termenillu”. Perché da altre parti avranno altri canti, altre espressione, altri cori, ma quando la sirena del PalaTiziano inchioda sul tabellone l’ennesima conquista romana certificata dal 73-81 con cui la Npc archivia la pratica Eurobasket…beh, in quel momento ritrovi in quelle parole che cantavano i tuoi nonni e i tuoi bisnonni tutto l’orgoglio di essere reatino, di essere di questa città, di esserci nato, di viverci gioendo e soffrendo dietro ad una palla a spicchi che da quasi mezzo secolo accompagna la storia sulle due sponde del Velino.

Bella e pazzesca. Non c’è altro modo di raccontare una vittoria che, mai come ieri, sembrava annunciata, scontata, impossibile da farsi sfuggire. Non perché d’un tratto tutti sono diventati presuntuosi. Non perché d’un tratto si snobbano gli avversari. Semplicemente perché la vittoria era la fine più logica per una giornata perfetta, unica grandiosa. Perché negli di trasferte se ne sono fatte tante, ma quando entri in un palazzetto che non è il tuo e vedi quello che hai visto ieri, capisci che comunque vada sarà un successo e stavolta no, proprio non si può perdere. Entri al PalaTiziano ed è come passare all’improvviso dal buio alla luce: ci sono quei pochi attimi nei quali gli occhi si devono abituare e hai la vista annebbiata. Poi lo sguardo s’abitua e tutto diventa chiaro. Ieri è stato così: entri in quel piccolo gioiello che è il palazzetto romano e la vista è annebbiata per un attimo. Sfocata, non distingui nulla se non una macchia amarantoceleste. Poi lo sguardo s’abitua e vedi lì quel popolo reatino, distingui quasi uno ad uno le facce del tifo, gli ultras da trasferta, i gruppi che non mollano, i tifosi che ci credono sempre e comunque. E senti i cori, quelli di una vita, che ti fanno capire che Rieti c’è, che ti fanno sentire reatino, che alzano l’orgoglio.

Bella e pazzesca, si diceva. Perché altro modo non c’è per raccontarla questa vittoria, questo tris, questa tripletta alla reatina che manda in archivio il periodo buio, che ricuce lo strappo, che rimette le cose a posto, che traccia come non mai il confine tra il passato e il presente, tra ciò che è stato e ciò che è, tra ciò che abbiamo sognato e ciò che sogniamo e, si spera, sogneremo ancora. Erano mesi, forse anni, forse interi campionati che il popolo della palla a spicchi reatini l’aspettava questo momento e te ne rendi conto dopo, quando l’adrenalina ancora pompa in corpo, quando con la mente ripensi alle azioni, quando scorri le statistiche della partita e il play by play. E allora ti torna in mente quella battaglia colpo su colpo fin dal primo minuto. Quel corrersi e ricorrersi tra due squadre che non si risparmiano, che giocano, che menano, che sputano anima e sangue sul parquet. Pensi a Deloach che segna come se non ci fosse un domani, pensi a Sims che gli risponde colpo su colpo, pensi a Pipitone che entra in campo ed esplode tutta la sua voglia di contribuire al sogno amarantoceleste. Poi ripensi a Bonora sulla panchina degli altri, ripensi a Stanic con la maglia degli altri. Ripensi a quando li osannavi e li tifavi, ricambiato da giocate e canestri che ti hanno regalato sogni, coppe e promozioni.

Stai lì, a ripensare a quei fischi assurdi, a quella rabbia che montava in corpo, ma ripensi anche che, in tutta quella gara mai e poi mai hai avuto paura di perderla. Ripensi ai cori della curva, al ruggito della Terminillo in trasferta e la mente corre, corre, corre e arriva all’ultimo mezzo quarto, alla volata finale che è come una porta nel tempo, uno sliding doors, un passaggio nello spazio e nel tempo. Comincia tutto a 4’ dalla fine e in quei 4’ c’è tutto, c’è il contrario di tutto, c’è la storia, c’è il passato, il presente e il futuro. Comincia tutto quando Nicolas Stanic palleggia, s’arresta e piazza la tripla che scrive sul tabellone 65-71. E’ lì che ti senti sul baratro, è lì che guardi di sotto, è lì che il passato, ancora una volta, diventa un fantasma sopra la tua testa. Poi ripensi all’ingresso al palazzo, ripensi alla marea amarantoceleste, ripensi al fatto che no, in una giornata così può succedere tutto, ma non si può perdere. Guardi il campo e capisci la regia, capisci il disegno divino, capisci perché quella partita non l’hai vinta mezz’ora prima. Guardi il tabellino e ti rendi conto che Deloach non segna da un’eternità. Guardi in campo e vedi che su di lui c’è Nico Benedusi. Riguardi il campo e tutto diventa chiarissimo. Perché è lui, il capitano, che prende palla a meno di 3’ dalla fine e infila 4 punti che sono semplicemente bellezza, purezza, concretezza: due con arresto e tiro, due solo sotto canestro al termine di un’azione difensiva da manuale. Non è il soprasso numerico, non è il sorpasso nel punteggio, ma è il sorpasso in tutto il resto. E’ il sorpasso nell’inerzia della gara, è il sorpasso nel morale della squadra, è il sorpasso nella mentalità. Ed è, soprattutto, il sorpasso nella storia, il sorpasso rispetto al passato, il sorpasso rispetto al vecchio compagno che poteva seppellire Rieti con quella tripla. E’ lì che Rieti vince la partita, è lì che Rieti infila un parziale di 12-0 che annichilisce ex compagni, avversari e pubblico. E’ l’incoronazione nuda, cruda e pura a leader, sancita e certificata il giorno dopo dal messaggio di Picchio Feliciangeli che guarda il capolavoro di Benedusi da bordocampo e su facebook sentenzia: «Oggi ti ho visto diventare "Capitano"....leadership, carisma, sicurezza, esempio....continua ad esserlo sempre amico mio e rendimi sempre orgoglioso di te». L’orgoglio. Appunto. Quello che si sostituisce alla rabbia. Quello con cui si risponde alle critiche. Quello che trasforma la frustrazione da torto arbitrale in forza per vincere. L’orgoglio. Appunto. Quello che ti fa venire i brividi e le lacrime agli occhi quando a due passi dal Cupolone e sotto la cupola di Nervi senti il popolo amarantoceleste che canta “Su jemo a Termenillu”. 
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