Vescovi e Greenpeace uniti contro le piantagioni di olio di palma

Vescovi e Greenpeace uniti contro le piantagioni di olio di palma
di Franca Giansoldati
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Martedì 15 Novembre 2016, 12:24 - Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 15:59
Città del Vaticano  Anche la Chiesa africana contro l'olio di palma. I vescovi del Camerun assieme ad alcune tra le più importanti associazioni ambientaliste del mondo hanno deciso di andare ben oltre la disputa alimentare sull'olio di palma  - della cui bontà è convinta sostenitrice la Ferrero, produttrice della Nutella - per fermare le estese coltivazioni di palmisto. Assieme hanno hanno lanciato una petizione internazionale per fermare le piantagioni. Motivo? Il land grabbing. Alla lettera: accaparramento della terra. Il Camerun, infatti, è uno dei Paesi africani più esposti all'accaparramento di terre e ultimamente, proprio per fare spazio a questo tipo di piantagioni, vastissime aree sono contese tra le comunità locali di alcune province e una multinazionale statunitense decisa ad abbattere migliaia e migliaia di ettari di foresta pluviale. Un cambiamento rischioso che avrebbe un impatto devastante per l’ambiente. A fine novembre scade il contratto di affitto dei terreni ed è già pronto un ricorso di 244 agricoltori e una petizione internazionale per fare pressione sul governo camerunese a fermare il progetto.

Secondo una ricerca di Right and resources initiatives 10 dei 22 milioni di ettari di foreste camerunesi sono già state assegnate dal governo per lo sfruttamento minerario o agricolo. La notizia è stata ripresa dal Sir, l'agenzia dei vescovi italiana. Più di 1 milione di ettari sono stati destinati a monocolture, anche per la crescente richiesta di olio di palma nelle società occidentali, un prodotto che viene utilizzato nella industria dolciaria e alimentare.

 Una delle vicende più gravi riguarda un enorme progetto dalla società Sgsoc (Sithe global sustainable oil Cameroon), inizialmente di proprietà della multinazionale statunitense Herakles Farms. Questo provocherebbe l’abbattimento di immensi lotti di foresta pluviale, mettendo a rischio l’habitat naturale di molte specie animali  – tra cui elefanti, scimpanzé, babbuini e altre scimmie rare – ma soprattutto creando tensioni nelle comunità locali, migliaia di contadini che da secoli vivevano in armonia con la terra. Gli ecologisti hanno già avviato una campagna internazionale a sostegno della lotta dei contadini che vivono nei villaggi locali. Secondo Greenpeace fermare il progetto potrebbe essere “un primo passo per riportare giustizia tra queste comunità”.
 
 
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