Un dialogo tra le religioni per sconfiggere gli estremismi

di Franco Garelli
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Sabato 29 Aprile 2017, 00:12
La prima giornata del Papa in Egitto conferma l’intento più ecumenico che politico di questo importante e coraggioso viaggio. 

La scena madre è avvenuta non tanto nel palazzo presidenziale del Cairo, nell’incontro prima ufficiale e formale e poi privato con il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, che pure ha una sua ragione d’essere sia per il capo della Chiesa di Roma sia per chi oggi dirige quella grande e complessa nazione. Il clou delle prime ore di Francesco in quella terra è stato il lungo e intenso abbraccio col Grande Iman di Al-Azhar, l’Ateneo più prestigioso dell’islam sunnita, uno dei centri teologici più influenti del mondo musulmano. Un abbraccio cui hanno fatto seguito parole e sentimenti di riconciliazione, di fratellanza e di reciproco riconoscimento, con il Papa che dopo aver rivolto ai presenti il saluto in arabo “Che la pace sia con voi”, ha ricordato con convinzione che siamo tutti “fratelli e sorelle sotto il sole di un unico Dio”; e con il Grande Imam Ahmed Al Tayyib che nel sottolineare il valore storico di questa visita“ durante una catastrofe umana assai triste” ha ringraziato calorosamente il pontefice “per le vostre giuste dichiarazioni che non qualificano l’islam come terrorismo”. 

I due eminenti uomini religiosi si erano già incontrati a Roma lo scorso anno, maturando una profonda convergenza sulla necessità che i leader delle grandi fedi mondiali moltiplichino in questa epoca gli sforzi per costruire la pace e contrastare il fondamentalismo di qualunque matrice religiosa. Tuttavia, queste sintonie personali non sono state sufficienti per sciogliere il gelo che è calato tra la Chiesa cattolica e il mondo musulmano a seguito del famoso discorso pronunciato più di dieci anni fa da Papa Benedetto XVI a Ratisbona, quello in cui si ricordava la possibile inclinazione storica dell’islam ad essere una religione di violenza. In quell’occasione proprio il centro teologico di Al-Ahzar – e tutto il mondo culturale egiziano – avevano reagito duramente alle parole di Ratzinger, mantenendo nel tempo un atteggiamento di diffidenza verso il centro della cattolicità che non si è stemperato nemmeno di fronte a successivi chiarimenti.

<HS9>Ecco dunque il senso primo dell’attuale gesto di Papa Francesco verso il Grande Imam del Cairo. Un gesto propedeutico ad un altro, orientato quindi da una finalità più ampia. Con questa riconciliazione pubblica (non soltanto formale, ma fortemente sentita) e riprendendo il dialogo con uno dei maggiori centri teologici dell’islam, Bergoglio mira a coinvolgere l’elite religiosa musulmana nel processo di pacificazione religiosa di cui l’intero mondo oggi ha assoluta necessità. <HS9>Nell’ordinamento musulmano, le scuole teologiche non hanno il potere di controllo del variegato mondo degli imam che operano sui singoli territori e disseminano il verbo dell’islam alle masse. Tuttavia, questi prestigiosi centri culturali sono assai autorevoli nel mondo musulmano, per cui la loro capacità di indirizzo può essere una risorsa preziosa per orientare le varie comunità islamiche (e le figure religiose che le presiedono) verso presenze sociali e religiose costruttive nei diversi ambienti di vita.

<HS9>Emerge qui un tratto pragmatico e concreto della politica ecclesiastico-religiosa di Papa Francesco. Non si tratta soltanto di lanciare grandi appelli per la pacificazione tra le religioni, di ricordare in astratto che i cristiani e i musulmani sono “fratelli di un unico Dio”. Perché sovente questi principi unitari vengono messi in discussione - per varie e complesse ragioni - in molte parti del mondo, quando ad esempio nei paesi musulmani i cristiani sono resi martiri per la manifestazione della propria fede e per l’esercizio del proprio culto, o quando nei paesi di cultura cristiana si guarda ai musulmani con astio e sospetto e li si discrimina per la loro tradizione culturale e religiosa. Si difendono nei diversi contesti le ragioni dei musulmani e dei cristiani se i centri culturali e teologici più influenti nel mondo – di entrambe le parti – operano più per costruire ponti tra le religioni che per alimentare distinzioni e confini. La convivenza pacifica tra cristiani e musulmani dipende anche dall’impegno del ceto intellettuale delle diverse religioni in favore della reciproca comprensione e accettazione. È una condizione base perché le religioni possano essere nel mondo più fonti di pace che di conflitti.
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