Garelli spiega che il dato medio dell’Istat prende in esame la pratica religiosa dell’insieme degli italiani con più di 6 anni, “per cui esso risulta un po’ drogato dalle ali estreme delle popolazione (i bambini da un lato e i soggetti con più di 75 anni dall’altro) che sono i gruppi che presentano la più alta partecipazione al culto domenicale”. Ad esempio: ben il 52% dei bambini e dei ragazzi dai 6 ai 13 anni hanno frequentato nel 2015 i riti almeno una volta alla settimana.
In pratica vanno in chiesa ogni domenica il 40% degli anziani, sopra i 65 anni, rispetto al 25% di coloro che hanno un’età compresa tra i 45 e i 60 anni, rispetto ancora al 15% circa dei giovani tra i 18 e i 29 anni. Ma i dati più interessanti emergono dall’andamento nel tempo della pratica religiosa che caratterizza le diverse classi di età.
Dal 2006 al 2015, quindi nell’arco dell’ultimo decennio, il gruppo che più si è assottigliato nella pratica religiosa regolare è quello dei giovani dai 18 ai 24 anni, che ha perso ben il 30% dei frequentanti. Lo stesso è avvenuto tra gli adulti dai 55 ai 59 anni. Mentre le flessioni sono più contenute per i 25-29enni (- 20%), per gli italiani dai 40 ai 50 anni (- 10%), per gli anziani (-12%). Insomma, il calo è generalizzato e interessa anche i bambini e gli adolescenti; ma coinvolge assai più i giovani (cosa nota) e gli over 50 (aspetto questo imprevisto). Secondo Garelli la caduta di partecipazione degli over 50 è socialmente più nuova e curiosa. Essa può indicare che si è di fronte ad una particolare “faglia” della vita, a un momento della biografia personale denso di novità e di cambiamenti. In questa fascia di età varie persone stanno ridefinendo il proprio cammino, costruendosi un’altra vita, intrecciando nuove relazioni, affacciandosi ad esperienze diverse, quando la carriera è agli sgoccioli, i figli sono ormai adulti e sistemati, il rapporto con il partner di un tempo si è esaurito; e questo cambiamento di orizzonte non può non riversarsi anche sulla pratica religiosa, che viene così sospesa o pensata diversamente. “Ma non mancano casi che giungono alle stesse conclusioni per effetto della crisi economica e sociale a cui possono essere esposti o a seguito di ferite che derivano dal proprio vissuto (perdita di amici cari, licenziamenti, pre-pensionamenti, rapporti difficili in famiglia). Per cui in un periodo di vita più segnato dalla precarietà, anche il rapporto con la fede religiosa tende a offuscarsi e a indebolirsi”.
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