Il cardinale Parolin braccato dai cronisti si è limitato a dire che si tratta «di una vicenda dolorosissima, una prova grande per tutti quelli che sono coinvolti». Nei giorni scorsi il Canada ha spiccato un mandato di cattura dopo avere accertato che monsignor Carlo Alberto Capella, 51 anni - questo il nome del diplomatico indagato per pedopornografia - aveva scaricato del materiale porno da uno dei computer di una parrocchia canadese che lo ospitava per le vacanze di Natale l’anno scorso, durante il periodo 24-27 dicembre. Le stesse accuse gli sono state mosse anche dagli Stati Uniti, dove Capella fino ad agosto lavorava alla nunziatura di Washington. La Segreteria di Stato, però, invece che affrontare la questione, all’insegna della totale trasparenza, alle autorità statunitensi, ha scelto di ricorrere alla prerogativa concessa al personale diplomatico, richiamando immediatamente Capella a Roma, dove ora vive protetto in un palazzo vaticano, passeggiando ogni giorno nei giardini e ricevendo visite da amici e parenti. Una situazione decisamente imbarazzante anche per il Papa che ora si trova a dovere decidere il da farsi, in base al provvedimento canadese.
Il cardinale Parolin, sempre al convegno alla Gregoriana, ha aggiunto ai cronisti: «Ci sono indagini in corso, tutto è coperto da riserbo per proteggere le indagini e per la verità e la giustizia». Le indagini vengono fatte dai gendarmi e i magistrati vaticani hanno aperto un fascicolo. Impossibile per chiunque sapere altro anche se sull’intera vicenda, a livello di immagine, pesa come un macigno l’esempio coerente del cardinale australiano George Pell, accusato di pedofilia dal tribunale di Sydney e partito a giugno per l’Australia per essere presente al processo. Il cardinale in una conferenza stampa, alla vigilia del viaggio, aveva annunciato di avere volontariamente rinunciato all’immunità e allo status cardinalizio per potersi difendere meglio. «Sono innocente e lo dimostrerò». Come evolverà il caso Capella dipenderà anche da come Papa Francesco vorrà procedere. Al convegno internazionale per la protezione dei minori dai predatori del web, padre Hans Zollner, l'organizzatore, ha spiegato al Messaggero «che in tanti Stati come esempio la Germania, gli Stati Uniti o il Canada, ogni computer contenuto nelle strutture diocesane o parrocchiali viene monitorato».
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