In occasione del conferimento di questo premio Bergoglio ha preparato un discorso prospettico molto articolato, un cui elenca i punti deboli che potrebbero portare al collasso il vecchio continente. Principalmente gli egoismi e la resa a pensare in grande, a coltivare sogni e progetti di portata epocale. “Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che “si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti”. Insiste poi sull'economia. Questo passaggio (da un’economia liquida a un’economia sociale) secondo il Papa non solo darà nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione, “ma aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo, di cui l’Europa è stata culla e sorgente”. L'Europa però è malata di Alzheimer, affaticata, indebolita.
“Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità - continua il Papa - può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante”. Davanti a lui ci sono i vertici delle istituzioni europee: Angela Merkel, Junker, Schulz, Tusk, Renzi, Mogherini e Mario Draghi. Una sorta di mini vertice sul futuro dell'Europa. La questione dell'immigrazione è la patata bollente. “Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale”. Il Papa sogna: “oggi ci urge poter realizzare coalizioni non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro”.
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