Si aspetterà fino “a dopo Natale, e qualche tempo dopo l’Epifania”. Poi si farà interprete di una richiesta di chiarificazione, un atto pubblico e ufficiale con il quale è possibile arrivare a correggere il Papa nei suoi eventuali errori dottrinali in materia di fede. Un atto di aperta ostilità, inquadrabile, grosso modo, in uno scontro conservatori-progressisti.
I quattro cardinali - Raymond L. Burke, Walter Brandmuller, Carlo Caffarra, Joachim Meisner - avevano formalmente espresso a Francesco cinque "Dubia" (dubbi), che riguardano sia la discussa questione della comunione ai divorziati risposati, sia soprattutto il valore delle norme morali riguardanti la concezione della vita cristiana sui quali si intravedono errori nell’impalcatura della dottrina cattolica.
L’atto formale di correzione di un Papa è qualcosa di rarissimo nella vita della Chiesa. Pare abbia avuto un solo precedente in passato, e bisogna risalire al 14esimo secolo, sotto il pontificato di Giovanni XXII, quando questo Papa fu pubblicamente sfidato dai cardinali, dai re, dai vescovi e dai teologi a smentire che le anime dei giusti fossero ammesse alla visione beatifica dopo la morte, invece che insegnare che questa visione è rimandata fino alla risurrezione generale della fine dei tempi. In punto di morte il pontefice ritrattò, affermando di essersi espresso esclusivamente come teologo privato, senza impegnare il magistero che comunque deteneva. Benedetto XII (1335-1342), eletto papa dopo la morte di Giovanni XXII, chiuse la questione con una definizione dogmatica.
Ora si tratta di vedere se l'ultimatum del cardinale Burke è una dichiarazione fatta sopra le righe, oppure se ha veramente intenzione di portare avanti un iter che tecnicamente richiederebbe la totalità dei cardinali e, inevitabilmente, la messa sotto accusa del pontefice per la difesa della retta dottrina. Insomma, guai in vista, comunque la vicenda vada a finire.
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