Ieri la notizia è piombata come un fulmine sul piccolo Stato vaticano anche perché il monsignore in questione è considerato un personaggio della curia piuttosto influente, talmente influente da avere rallentato per un certo periodo di tempo - nell’ultimo scorcio del pontificato di Papa Ratzinger - l’iter sulla trasparenza delle finanze vaticane. Era il giugno del 2012 e Capella d’accordo con monsignor Ettore Balestrero (attuale nunzio in Colombia, promoveatur ut amoveatur a seguito del caso Vatileaks) scriveva all’allora capo dell’Aif, l’authority vaticana finanziaria voluta da Papa Ratzinger – l’avvocato Francesco de Pasquale - di essere «amareggiato, deluso e infastidito», ma soprattutto di non avere «mai approvato nessuna adesione al gruppo Egmont», il forum globale che riunisce attualmente le unità di informazione finanziaria di 152 Paesi e dove sono condivise regole e scambi di informazioni. L’adesione per il Vaticano avverrà solo nel luglio 2013, con l’arrivo di Papa Francesco. Monsignor Capella in uno scambio di email con de Pasquale e Balestrero riversava la sua irritazione sul capo dell'Aif, influenzando di fatto l’iter del processo di trasparenza internazionale in corso. De Pasquale, sconcertato, si lamentava per i toni «vagamente minacciosi e aggressivi» che Capella aveva usato contro di lui, a riprova dell'influenza che poteva esercitare all'interno dell'organigramma curiale.
In questi giorni monsignor Capella soggiorna in Vaticano nel palazzo dei Penitenzieri. Lo stesso stabile in cui è stato detenuto il nunzio polacco Wiesolowski, trovato morto l’anno scorso proprio mentre era in corso un processo in Vaticano per pedofilia.
Capella prima di lavorare nella nunziatura a Washington è stato in Segreteria di Stato dove aveva l'incarico di seguire le questioni italiane più importanti. Il suo nome, per esempio, figura anche tra i funzionari della delegazione che firmò con il Ministro dell’Economia, Padoan la convenzione Santa Sede-Italia in materia fiscale.
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