Papa Francesco e l'elogio delle lacrime: «Chi ha pianto può consolare chi è disperato»

Papa Francesco e l'elogio delle lacrime: «Chi ha pianto può consolare chi è disperato»
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 4 Gennaio 2017, 16:42
Città del Vaticano - Chi ha pianto riesce ad asciugare le lacrime altrui. Papa Bergoglio elogia il potere del lamento, del dolore, l'esperienza dello strazio. "Quanta delicatezza ci viene 
chiesta davanti al dolore altrui. Per parlare di speranza a chi è 
disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una 
lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro 
pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di 
dare un po’ di speranza" ha detto stamattina, all'udienza generale, facendo capire che occorre fare leva sull'empatia quando non si riesce a parlare, a emettere nessun suono, davanti a chi si dispera tanto. Ecco che allora è meglio il silenzio o una carezza. Il pianto come forma di comunicazione ancestrale. Il pianto del resto è il primo linguaggio umano, quello che anticipa la storia di ognuno. E' la forma più arcaica di trasmettere emozioni e pensieri, ma anche la più complessa. «Erano lacrime di felicità nate dal risveglio dell’essere morale sopito in lui da molti anni» scriveva Tolstoi in "Resurrezione", mentre Saint Exupery fa dire al Piccolo Principe che il "paese delle lacrime resta il più misterioso".

Nella Bibbia si incontra spessissimo l’esperienza del pianto. Piangono i pastori, gli schiavi, i mercanti, i soldati, i patriarchi, i re, piange Giobbe e pure Gesù. I salmi sono pieni di lacrime che si aprono alla consolazione. Il salmo 125 dice: “Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo”. Davanti al pianto ci si commuove anche se si parlano lingue diverse, se si hanno culture diverse, e non c'è bisogno di parlare per capire l'alfabeto del dolore, quello si decifra subito, non c'è bisogno di ricorrere a traduttori simultanei.

Per Papa Bergoglio il pianto è importante tanto quanto la felicità. Anzi, la consolazione arriva solo dopo il pianto. Stamattina nell'Aula Paolo VI ha aggiunto un nuovo tassello a questo ragionamento. Solo chi ha pianto ha le chiavi per comprendere e consolare il prossimo. Ha preso spunto del pianto di Rachele, un episodio biblico in cui è racchiuso «il dolore di tutte le madri del mondo, di ogni tempo, e le lacrime di ogni essere umano che piange perdite irreparabili».

Un po' di tempo fa, alla messa del mattino a Santa Marta, Francesco si è messo a raccontare del potere delle lacrime nelle situazioni difficili."Si può pregare anche piangendo come ha fatto ieri un imprenditore, a messa a Santa Marta. Un bravo uomo, un impresario che doveva chiudere la sua fabbrica perché non ce la faceva. E piangendo mi ha detto: 'Non me la sento di lasciare senza lavoro 50 famiglie, potrei dichiarare fallimento e salvare i miei soldi ma non dormirei la notte pensando a quelle famiglie'. Ecco - commentava il Papa - un bravo cristiano che è venuto a pregare con il cuore e con i fatti. E non si mette a cercare la via di uscita più facile dicendo che gli altri si arrangino".

La beatitudine che si coglie nel pianto è la "consolazione". Con quella si smette di piangere, o si piange diversamente, non più in solitudine. Alcuni mesi fa, durante una udienza a san Pietro, Papa Francesco ricordava che «solamente quando Cristo ha pianto ed è stato capace di piangere, ha capito i nostri drammi». Da qui ne deriva che «certe realtà si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime». Non si tratta però di un approccio antropologico ma di una persona che considera il pianto una “Grazia”. “Sapere piangere è una grazia che appartiene a chi è capace di compassione e sensibile alle domande della storia”.
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