Padre Pio, l’attualità della devozione

di Lucetta Scaraffia
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Sabato 6 Febbraio 2016, 23:54
A molti l’arrivo di padre Pio a Roma - capitale cinica e corrotta di una nazione in grave crisi - è sembrata un’invasione marziana. Le persone che si sono sottoposte a lunghe file solo per sfiorare con la mano il sarcofago sembrano infatti provenire da un mondo antico. Un mondo che esiste e vive lontano dalla capitale, a San Giovanni Rotondo, un paese della campagna pugliese raggiunto ogni anno da imponenti colonne di pellegrini, ma ignorato dal “mondo che conta”. Almeno fino al momento in cui il dolore non ha bussato anche alla sua porta.

Ma adesso che ci imbattiamo in questi pellegrini, entrati per qualche giorno nella nostra vita quotidiana, ci stupisce vederli mescolare gesti antichissimi – come il contatto di oggetti con la teca del santo – agli immancabili e modernissimi selfie con cui vogliono fermare questo momento. Cosa chiedono, cosa sperano? Quello che tutti sperano e che tutti vorrebbero poter chiedere: un futuro più sicuro, meno sofferenza, meno violenza, più amore reciproco. In una così fredda presa di distanza da loro, probabilmente, c’è dunque anche molta invidia nei confronti di chi sa di potersi affidare a un padre.

E padre Pio è sempre stato accanto agli umili, li ha protetti e li protegge insegnando loro, con la sua rustica e profonda semplicità, a comportarsi rettamente e, soprattutto, a pregare. La confessione e la preghiera erano le sue sole armi, con le quali ha operato tante conversioni, ha dato sollievo a tante sofferenze, ha resistito a tante invidie e cattiverie. I poveri, i semplici, sanno di potersi fidare di lui come tramite con Dio, sanno che li conosce e che è stato sempre pronto a soffrire per loro, a farsi carico dei loro pesi. Appunto come un tramite, fra questo mondo e quello sovrannaturale, che con stile burbero ha saputo sempre amarli e proteggerli.

Papa Francesco ha voluto la processione delle sue spoglie durante il giubileo perché sa che padre Pio è il santo più amato dalla devozione popolare, ed è ben consapevole di quanto questa forma di religiosità costituisca un polo centrale nella vita cristiana. Non perché la Chiesa possa così manipolare più facilmente i semplici, come molti insinuano, ma perché sa bene che soltanto nella forza spontanea di questa fede si può costruire un’evangelizzazione viva.

Il papa ne ha trattato con chiarezza nel documento programmatico del suo pontificato, l’Evangelii gaudium, testo in cui vari paragrafi sono dedicati al valore della religiosità popolare. Cominciando con il ricordare come essa sia stata rivalutata negli anni successivi al concilio da Paolo VI, che vedeva nella pietà popolare “una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere”, sete che “rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede”.

Francesco, che viene da un continente in cui la religiosità popolare è particolarmente forte e vitale, va ancora più avanti: sino ad affermare con i vescovi latinoamericani che si tratta di una vera “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici”, che “porta con sé la grazia della missionarietà, dell’uscire da se stessi e dell’essere pellegrini”. E il “camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in sé stesso un atto di evangelizzazione”. 

Sino ad affermare che “le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione”.

Guardiamo allora ai fedeli di padre Pio con più simpatia e rispetto. Tutti, credenti e non credenti, abbiamo da imparare molto da chi, con umiltà, confessa la propria miseria e accetta di essere bisognoso di aiuto e di protezione. In un mondo che ha fatto dell’autonomia individuale un mito, facendo finta di non sapere che è irrealizzabile.

 
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