Vaticano, Francesco riceve Thaci e scoppia la grana diplomatica del Kosovo

Vaticano, Francesco riceve Thaci e scoppia la grana diplomatica del Kosovo
di Franca Giansoldati
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Venerdì 17 Giugno 2016, 16:24 - Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 02:32

Città del Vaticano Sulla scrivania di Papa Francesco giace un dossier spinoso, anzi spinosissimo, quello del Kosovo. Il presidente della Repubblica kosovara, Hashim Thaci, stamattina ha incontrato in udienza privata Bergoglio per chiedergli non solo di visitare la regione ma di riconoscere lo Stato del Kosovo. Cosa che naturalmente provocherebbe un terremoto sul fronte ecumenico, mettendo in difficoltà le relazioni con il patriarcato di Belgrado e quello di Mosca. Praticamente come camminare sulle uova. Cosa abbia risposto Bergoglio a Thaci non è dato sapere, anche se Thaci su Twitter ha successivamente riassunto così l’appuntamento:  "Discussione profonda e sincera sul Kosovo, l'Europa e i nostri valori condivisi". Nel colloquio successivo, stavolta con il ministro degli esteri della Santa Sede, monsignor Ghallagher, Thaci avrebbe però stabilito  i primi passi per istituire una persona incaricata di tenere i rapporti al di là del Tevere presso l’ambasciata kosovara a Roma.

In una nota della presidenza kosovara si precisa che il presidente "ha riferito al Santo Padre sulle questioni interne ed estere del Kosovo come Stato, capace di voltare la pagina della parte amara della sua storia, e ora su un cammino verso un futuro pacifico, stabile, prospero per i propri cittadini e per l'intera regione”. Thaci ha assicurato che il Kosovo è un esempio nella regione dove esistono “tolleranza e coesistenza tra popoli di diverse religioni e etnie”, visto che è abitato da oltre il 90 per cento di musulmani. Thaci ha anche espresso la sua felicità per la canonizzazione a settembre di madre Teresa (la religiosa era di origine albanese). Una figura che impersona i valori universali. Poi ringraziato il Papa "per il sostegno che il Vaticano ha sempre dato al popolo del Kosovo".Due giorni fa sull’Osservatore Romano è apparso un lungo articolo dove veniva messa in risalto una situazione più che positiva. Monsignor Dodë Gjergji, amministratore apostolico di Pristina, parlava di una “primavera per la minoranza cattolica. La primavera della Chiesa cattolica in Kosovo. Per la prima volta dopo settecento anni possiamo liberamente vivere, annunciare, accogliere le persone e dare il nostro contributo non soltanto ai cattolici, ma a tutta la società kosovara».

Peccato che a 17 anni dalla fine del conflitto armato, in Serbia vi siano ancora 204.049 sfollati dal Kosovo e che il ritorno ai loro luoghi di origine resti problematico. Solo una settimana fa è scoppiata un'altra bomba danneggiando una casa di una famiglia serba. Episodi del genere sono purtroppo frequenti nonostante il continente della Kfor, una garanzia per la minoranza serba (e ortodossa). Il conflitto armato del 1998-1999 fra le forze regolari serbe e gli indipendentisti albanesi dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) ha provocato  13 mila morti, in larga parte albanesi, e centinaia di migliaia di profughi. Il Kosovo, si è autoproclamato Stato autonomo nel 2008, l’Italia e altri 110 Paesi delle Nazioni Unite lo hanno riconosciuto, mentre permane l’opposizione di alcune super potenze come Russia e Cina ma anche di alcuni Stati europei come Spagna e Grecia, Slovacchia, Cipro, Romania e Santa Sede. 
 
 

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