Ritardi da colmare/ La coscienza laica fa breccia nella Chiesa

di Franco Garelli
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Venerdì 17 Novembre 2017, 00:09
No netto all’eutanasia, ma nello stesso tempo una marcata presa di distanza anche dall’accanimento terapeutico, quando le cure risultino sproporzionate, inutili, non risolutive. La medicina ha fatto dei passi da gigante nel migliorare la salute e allungare il tempo della vita, tuttavia essa non può agire all’infinito, protraendo oltre ogni limite l’esistenza umana. Ecco il recente messaggio di Papa Francesco sui temi sempre caldi del fine vita, delle malattie terminali, dei malati incurabili. 

Di per sé non c’è molto di nuovo nelle posizioni della Chiesa in questo campo “sensibile”, dal momento che le parole del Papa si riallacciano a quanto già espresso 60 anni or sono da Pio XII, nel famoso discorso a un gruppo di medici ed esperti del settore, in cui si affermava che in alcuni casi limite è preferibile astenersi dall’impiego di tutti i mezzi potenzialmente disponibili. Inoltre, tutta l’opinione pubblica ha ancora ben presente la scelta al riguardo operata da Giovanni Paolo II, nel suo letto di dolore stremato da una lunga malattia, di fronte alla proposta di tornare in ospedale solo per trascinare il suo fine vita.
Papa Wojtyla in quell’occasione ha così risposto: «No, grazie, resto qui nel mio appartamento. Mi affido a Dio».
Papa Bergoglio, dunque, ribadisce oggi sull’argomento un leitmotiv assai caro alla Chiesa e al popolo cristiano: quello per cui c’è un tempo per nascere e uno per morire, un tempo per gioire e un tempo per piangere, un tempo per danzare e uno per fare lutto, un momento per promuovere e difendere a tutti i costi la vita e un altro in cui si accetta il mistero dell’esistenza, la sua finitudine, la chiusura del sipario terreno. 
Tuttavia, a ben guardare, l’attuale ritorno di Papa Francesco su questi temi non ha solo un sapore antico, non sembra mosso soltanto dall’intento di richiamare la fecondità di una memoria biblica che offre un senso compiuto all’esistenza umana, ricordandoci che «tutto ha il suo momento, che ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo». 

C’è anche del realismo in chi oggi è al timone della barca di Pietro; un pastore che conosce nel profondo gli umori del suo popolo, fa uso costante delle nuove tecnologie comunicative, si serve di strumenti di consultazione dei fedeli (e dei diversamente credenti), ha antenne (personali ed ecclesiali) sufficientemente sensibili per cogliere il nuovo che avanza nei pensieri e negli affetti della gente comune. Per cui, non può essergli sfuggito il fatto che - sul tema del confine tra la vita e la morte - è in rapida diffusione (perlomeno in tutto l’Occidente) una cultura che tende a ritenere legittimo il ricorso all’eutanasia quando si è di fronte a condizioni terminali e irreversibili. 

Una recentissima ricerca svolta a livello nazionale (ma che su questo tema ci dice che l’Italia si sta allineando agli orientamenti prevalenti in altri paesi avanzati) attesta che quasi i due terzi della popolazione coltivano l’idea che sia lecito ricorrere alla ‘dolce morte’ per porre termine alla vita di un malato incurabile. Ovviamente si tratta di un’indicazione da prendere con cautela, in quanto indica un orientamento che può essere frutto o della solidarietà verso i casi eclatanti che in questo campo hanno scosso di recente l’opinione pubblica, o del rispetto per scelte estreme di chi ha visioni della vita che magari non si condividono; o ancora, può essere una valutazione astratta della questione, che non è detto trovi poi riscontro quando le persone sono chiamate a misurarsi con essa nella concretezza della vita.

In tutti i casi, un movimento di rilievo sta avvenendo nella coscienza moderna sui temi del fine vita, che non può non interpellare il Pontefice, i credenti e la Chiesa tutta. Di qui l’idea che il sì del Papa a sospendere le cure che non hanno più alcuna efficacia per il malato (e quindi il no verso l’accanimento inutile contro la morte) voglia ricordare a tutti che la Chiesa non è rigida su questa drammatica questione, che è prossima a quanti vivono situazioni difficili, anche se non può ammettere il ricorso all’eutanasia. 
La Chiesa dunque si apre (ufficialmente forse con un po’ di ritardo) su questi temi, riflettendo anche su chi debba prendere la decisione della sospensione delle cure (il paziente, in dialogo con i medici) e ribadendo in particolare l’importanza di un accompagnamento del fine vita che sia amorevole e rispettoso della dignità umana.
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