Usa oggi al voto. Clinton chiude con Obama: avanti con Hillary. Trump: è ora di cambiare

Usa oggi al voto. Clinton chiude con Obama: avanti con Hillary. Trump: è ora di cambiare
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Martedì 8 Novembre 2016, 07:53 - Ultimo aggiornamento: 9 Novembre, 00:22

Stati Uniti al voto: alle 12 italiane (le 6 locali) si sono aperti i seggi lungo la costa orientale - da New York a Washington, da Boston a Filadelfia, fino a Miami - poi nel corso della giornata urne aperte anche negli stati più a est. Gli americani scelgono il 45mo presidente. Barack Obama, con la moglie Michelle, è salito ieri sul palco con Hillary Clinton in uno dei comizi finali a Filadelfia: «Siamo a un passo dal fare la storia», ha detto la first lady. «Avete scommesso su di me e ora io scommetto su di voi», ha incitato Obama gli elettori. Per Clinton si sono esibiti Bruce Springsteen, Madonna e Bon Jovi. Trump ha attaccato: «Hillary è il volto del fallimento, ora è il momento di cambiare».

Sarà una vera e propria maratona elettorale quella dell'Election Day, con l'annuncio della vittoria che potrebbe arrivare tra le 4 e le 5 del mattino in Italia. Le operazioni di voto inizieranno sulla costa orientale degli Stati Uniti alle 6 del mattino, mezzogiorno in Italia, e termineranno in Alaska, quando nel nostro Paese saranno le 7 del mattino di mercoledì 9 novembre. Sia Clinton che Trump voteranno e seguiranno la nottata elettorale a New York. Oltre a scegliere il prossimo presidente Usa gli elettori sono chiamati a decidere quale partito avrà il controllo del Congresso per i prossimi due anni, rinnovando la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato.
 

 


I sondaggi. Un dato è certo: la spinta propulsiva di Trump, impetuosa nelle ultime settimane, sembra scemata. Mentre Clinton appare in vantaggio, in rimonta grazie al rimbalzo delle ultime ore nei sondaggi. Rimbalzo dovuto anche alla decisione dell'Fbi di chiudere definitivamente l'inchiesta sulle email che ha pesato come un macigno sulla candidata democratica. Ma siamo ancora dentro il margine di errore: secondo la media del sito specializzato RealClearPolitics, è avanti di soli tre punti.

Trump continua a insidiarla in molti dei battleground state, quelli ancora incerti. Ed è da 15 stati in bilico - in cui il distacco tra i due è sotto i 5 punti - che dipendono le sorti del voto. L'obiettivo è raggiungere il 'magic number' dei 270 grandi elettori necessari per conquistare la Casa Bianca. Clinton al momento ne ha 203 sicuri, contro i 164 di Trump. Ne rimangono 171 in palio. Con la differenza che se alla candidata democratica basta prevalere in due Stati come Florida e Pennsylvania per trionfare, al tycoon serve un difficilissimo filotto di vittorie negli swing state. Ipotesi che potrebbe trasformare l'Election Night in un vero e proprio sprint al fotofinish.

Hillary. Trump è una «mina vagante», ha detto Clinton in uno dei comizi finali della campagna elettorale invitando ad andare a votare. «Se volete una riforma per le armi e se volete aumentare il salario minimo andate a votare, perché in gioco ci sono tutti i temi che vi stanno a cuore». 

«Sarò il presidente di tutti, non solo di coloro che mi hanno appoggiato», ha continuato Clinton, sottolineando che «non permetterà a nessuno di intaccare i progressi fatti con Obama» alla presidenza: «Non consentirò a nessuno di farci tornare indietro».

Le elezioni sono «test» con cui si sceglierà il futuro. Saremo più uniti come Paese o ci separeremo ancora di più. Fisseremo degli obiettivi che potremmo centrare insieme o ci gireremo le spalle gli uni con gli altri, ha aggiunto Hillary.

Donald. «Votate per me», facendolo «farete diventare i vostri sogni realtà», ha sottolineato il candidato repubblicano, in North Carolina, uno degli ultimi appuntamenti della sua campagna elettorale. «Le elezioni saranno una Brexit all'ennesima potenza», ha sostenuto ancora Trump.

Anche nelle arringhe finali dei candidati alla Casa Bianca sono le divisioni, la rabbia, il veleno emersi in questa campagna a fare da sfondo. Perché la strada fin qui è stata un continuo scambio di accuse, colpi bassi, offese e scandali, rendendola il 'match' elettorale più aspro di sempre, nel quale ha finito per trovarsi imbrigliato anche l'Fbi. A posizionare l'asticella è stata sufficiente la discesa in campo di due supercandidati quali Clinton e Trump: da una parte l'ex first lady con il suo bagaglio di vita pubblica, il passato, la diffidenza. Dall'altra l'outsider miliardario, esuberante e da subito determinato a lanciare la sua guerra contro il politicamente corretto.

Così, se la rivelazione del New York Times su indirizzo e-mail e server privati utilizzati dall'ex segretario di Stato ha perfino preceduto l'annuncio della candidatura di Hillary, il tycoon ha esordito con dichiarazioni shock quando nell'annunciare la sua corsa per la Casa Bianca ha promesso la costruzione dell'ormai famigerato muro tra il Messico e gli Stati Uniti, additando i messicani come criminali e stupratori. Poi la proposta di negare l'ingresso negli Usa a tutti i musulmani come risposta alla minaccia terroristica. Niente però rispetto agli attacchi personali, già leitmotiv delle primarie, dagli scontri con Marco Rubio caduti anche nella sfera dei doppi sensi, alle offese contro Carly Fiorina («candidata con quella faccia?»), fino agli sgambetti fatti a Ted Cruz quando era rimasto l'unico a contrastarne la corsa. Archiviate le primarie, il tycoon ha preso a twittare (anche nel pieno della notte): critiche e insulti in pillole senza risparmiare nessuno (il New York Times li ha raccolti in un paginone).

Clinton però non è stata da meno quando ha chiamato «deplorevoli» i sostenitori di Trump, metà del Paese di fatto,
attirando così su di sé una valanga di critiche. Per la candidata democratica è stato però il passato a ripresentarsi
come un incubo ricorrente e una minaccia concreta per le sue aspirazioni presidenziali, a partire dai sospetti sulla
Fondazione Clinton e i suoi rapporti con Paesi donatori dalla condotta dubbia, anche quando Hillary guidava il dipartimento di Stato.

Le ultime settimane della corsa sono state quelle più esplosive: Trump era in rimonta e sperava ancora quando a fine settembre il Washington Post è venuto in possesso e ha pubblicato quel video del 2005 in cui Trump si abbandonava a frasi oscene circa il suo comportamento sulle donne. Quindi l'effetto domino con l'emergere di testimonianze di donne che accusano il tycoon di averle aggredite. Una dopo l'altra per giorni e Trump perde terreno, ma soltanto fino alla sorpresa di ottobre, per mano del direttore dell'Fbi James Comey, che comunica al Congresso di voler di fatto riaprire l'inchiesta sull'emailgate (chiusa a luglio con Clinton scagionata) quando mancano soltanto 11 giorni all'election day. Il tycoon esulta, Hillary è furiosa. Tanto più che il tutto nasce dalla necessità di esaminare migliaia di e-mail emerse dal laptop di Anthony Weiner, ex deputato democratico caduto in disgrazia per motivi di 'sexting' e marito separato della braccio destro di Hillary - Huma Abedin - finito sotto inchiesta per aver scambiato messaggi a sfondo sessuale con una 15enne. Comey è nella bufera e il caso si richiude in pochi giorni, con una rapidità inimmaginabile in circostanze normali. E l'America resta basita, chiamata alle urne mentre si guarda in questo specchio in cui stenta a riconoscersi.

Esperti e responsabili politici si preparano a gestire una giornata ad alto tasso di confusione e caos: la vigilia elettorale è stata infatti segnata da file di ore per chi si era affidato all'early voting (utilizzato soprattutto da chi non può andare a votare in un giorno lavorativo) i democratici hanno sporto denunce dell'ultimo minuto lamentando intimidazioni da parte dei sostenitori di Donald Trump e in alcuni seggi si è arrivati ad accesi confronti tra sostenitori delle due parti. Ma per i responsabili della supervisione delle operazioni di voto - spiega il Washington Post - lo spettro che si aggira sulle elezioni è in particolare quello delle intimidazioni a danno degli elettori, soprattutto dopo che il candidato Repubblicano si è rivolto ai suoi invitandoli a picchettare i seggi e stare in guardia contro il rischio di frodi.

Oggi si vota anche per i governatori di 12 Stati, più i territori di Puerto Rico e delle Samoa americane e, in alcuni Stati, per diversi referendum: la legalizzazione della marijuana a scopo terapeutico e ricreativo; l'abolizione della pena di morte; l'aumento del prezzo delle sigarette; il salario minimo; la tassa sulle bevande gassate. In California si vota per l'obbligo del preservativo durante le riprese dei film pornografici; in Colorado gli elettori dovranno votare sulla morte dignitosa che permette ai medici di aiutare i malati terminali a porre fine alla propria vita.

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