Stato e Regioni, così cambiano i poteri

Stato e Regioni, così cambiano i poteri
di Diodato Pirone
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Lunedì 28 Novembre 2016, 17:09 - Ultimo aggiornamento: 17:48
Energia, turismo, opere pubbliche strategiche, ordinamento delle professioni, protezione civile, disciplina giuridica del lavoro, ricerca. Sono moltissime le materie che con la riforma tornano a fare riferimento allo Stato e non più ad ognuna delle 20 Regioni. Se la nuova Costituzione fosse approvata si fa retromarcia rispetto alle modifiche “federaliste” del Titolo V adottate nel 2001.. Non solo. Uno dei commi del nuovo articolo 117 è chiarissimo: laddove sia in gioco l’interesse nazionale il governo può intervenire per prendere una decisione definitiva con una legge che deve essere approvata dalla Camera a maggioranza assoluta (se lo chiede il Senato che rappresenta gli enti locali). Evidente l’importanza culturale prima che politica di questa norma per un Paese, come l’Italia, dove è accaduto che per decenni venisse bloccato un elettrodotto nazionale (quello tra Sicilia e Continente) o il raddoppio di una ferrovia Nord-Sud (la linea adriatica) perché attraversavano Regioni guidate da giunte l’un contro l’altra armate. 

Le ragioni del Sì
E’ giusto riportare molte competenze dalle Regioni allo Stato? Secondo i favorevoli al Sì la risposta non può che essere positiva. Perché? «Si tratta di buon senso - dicono quelli del Sì - Alle Regioni restano poteri importanti come la gestione della Sanità e il governo del territorio ma l’esperienza ha dimostrato che non funziona dare alle Regioni competenze su grandi infrastrutture, trasporti, porti e aeroporti nazionali, energia, grandi reti informatiche, politiche del lavoro, i ritardi accumulati su queste materie li pagano di tasca propria gli italiani».Una freccia nell’arco dei sostenitori del Sì viene dalla comparazione internazionale: anche in Germania e Spagna, che sono stati a base federale, i grandi interessi nazionali sulle opere pubbliche e sulle reti infrastrutturali sono tutelati da leggi che li sottraggono al potere delle fortissime strutture regionali teutoniche ed iberiche. Per il Sì, inoltre, l’allungamento dell’articolo 117, che in 21 commi, dalla a alla zeta, ha il pregio di stabilire chiaramente la demarcazione delle competenze fra Stato e Regioni. C’è un ultimo punto che i fautori del Sì sottolineano: il testo dell’articolo 117 riformato prevede (vedi grafico a lato) un comma “strategico” che consente al governo con una apposita legge di intervenire per sbloccare provvedimenti o opere pubbliche che considera di importanza nazionale. Troppi poteri al governo? No perché il Senato (che rappresenta le Regioni) può chiedere che la Camera eletta dal popolo approvi la legge a maggioranza assoluta, ovvero con almeno 316 voti. Una garanzia importante. 

Le ragioni del No
Lo spostamento del baricentro decisionale dalle Regioni allo Stato non piace agli esponenti del No. «E’ un segno preoccupante di leggerezza costituzionale», ha dichiarato a Repubblica il professor Valerio Onida ex presidente della Corte Costituzionale. Secondo i favorevoli al No non è vero che l’enorme contenzioso che negli anni scorsi si è sviluppato fra le Regioni e lo Stato non è dovuto alla modifica della Costituzione in senso federalista attuata nel 2001 e dunque non ha senso cancellarla per tornare ad uno “Stato centralista”. Quelli del No fanno notare che il centralismo viene attuato per le 15 Regioni a Statuto normale ma non per le cinque (Sardegna, Sicilia, Valle D’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) a statuto speciale. da qui il possibile ampliamento delle disparità regionali. Secondo il professor Onida i pasticci nati dalla riforma del 2001 che hanno impedito il decollo di parecchie opere pubbliche e portato ogni regione a dotarsi di prorpie politiche turistiche sono dovute alla cattiva attuazione della riforma del 2001 e al fatto che lo Stato negli ultimi 15 anni non ha fatto leggi che si adeguassero a quella riforma. Ma - secondo i favorevoli al No - questa parte della riforma è da respingere poiché torna a fare dello Stato italiano uno Stato centralista anche se alle Regioni vengono lasciati moltissimi poteri a partire dalla gestione della Sanità.

 
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