Renzi punta alle urne: «Resto io l'unico candidato e senza primarie»

Renzi punta alle urne: «Resto io l'unico candidato e senza primarie»
di Alberto Gentili
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Mercoledì 7 Dicembre 2016, 08:05
Smaltite almeno in parte rabbia e amarezza, Matteo Renzi concede qualcosa al capo dello Stato e agli alleati di partito, Dario Franceschini e Andrea Orlando, contrari a un precipitare della crisi verso le elezioni. Nel tardo pomeriggio il segretario del Pd fa trapelare che oggi, nella Direzione convocata per leccarsi le ferite dopo la batosta referendaria, confermerà le dimissioni da premier «ma non spingerà l'acceleratore sul voto anticipato in tempi brevi». E' però una mossa tattica. Diplomatica. Un modo per non sabotare il tentativo che Sergio Mattarella compirà con le consultazioni: la nascita di un governo di responsabilità istituzionale con il compito di correggere l'Italicum e scrivere la legge elettorale del Senato.

In realtà, Renzi resta ancorato all'opzione delle elezioni a breve: «O si fa un governo sostenuto da tutti, oppure si va dritti a votare». A fine marzo, primi di aprile, per l'esattezza. Più o meno sessanta giorni dopo la sentenza della Consulta sull'Italicum fissata per il 24 gennaio. E, a dispetto di quanto pianificato nel day-after della sconfitta, senza neppure celebrare il congresso. Perché non c'è bisogno dell'investitura delle primarie: «E' scritto nello Statuto del Pd che il segretario è anche candidato premier».

Dopo le tensioni con il Colle, si diceva, oggi in Direzione Renzi non chiuderà la porta a un nuovo governo. Dirà che il Pd sarà disponibile, «se c'è un'assunzione di responsabilità ampia e condivisa», a sostenere un esecutivo incaricato di scrivere le leggi elettorali e a celebrare il vertice europeo del 25 marzo a Roma e il G7 di fine maggio a Taormina. Aggiungerà però che è «da escludere» che il Pd «si faccia carico da solo del dividendo negativo, con tutti gli altri che gli sparano addosso com'è accaduto con Monti». E con Beppe Grillo libero di dire che Renzi ha paura delle elezioni. «Una situazione», a giudizio del premier dimissionario, «insostenibile, roba da harakiri». «Dunque, non è Renzi che ha voglia del voto anticipato, ma è Renzi che non ha paura del voto anticipato».

I PRECEDENTI
In più, convinto ormai di andare alle urne con la legge elettorale corretta dalla Consulta in senso proporzionale, il premier uscente farà presente all'assise dem che di governi di responsabilità nazionale ce ne sono stati già tre: Monti, Letta e il suo. Ma che rispetto ai precedenti, questa volta mancherebbe «una vera motivazione». Perché in Parlamento è impraticabile l'ipotesi di varare una legge maggioritaria. E perché sarà presumibilmente la Consulta a dare al Paese quel «proporzionale che tutti ora vogliono». Seguirà quasi sicuramente una battuta del tipo: Un bel capolavoro. Siamo nati per fermare l'inciucio, finiremo con le larghe intese per sempre...

Rispetto alla voglia iniziale di puntare alle urne in febbraio, indicando fine marzo come data del voto Renzi comunque compie una frenata. Con un problema: se non nascerà, com'è prevedibile il governo di tutti, chi guiderà il Paese fino alla sentenza della Consulta fissata il 24 gennaio? Renzi garantisce di non essere interessato a restare a palazzo Chigi nel ruolo di premier dimissionari: «Sto preparando gli scatoloni». Ma se fallisse il tentativo di Mattarella, e più di un presidente del Consiglio incaricato dovesse rinunciare, alla fine potrebbe essere proprio Renzi a essere richiamato a palazzo Chigi con la formula del «disbrigo affari correnti». Soluzione che, a conti fatti, potrebbe essere gradita al segretario per scongiurare eventuali imboscate interne al partito.

«IL MIO 40%»
Di certo, c'è che Renzi non vuole disperdere quello che ritiene il suo tesoretto: il 40 per cento di Sì. «Tutti hanno detto che il 60% di No è un 60% politico», argomenta Renzi con i suoi, «allora anche il 40% di Sì è un 40% politico. Per carità, non me lo intesto tutto, ma ci si può lavorare. Alle elezioni forse non avremo 13,5 milioni di voti, ma ci potremmo attestare a 12 milioni...». Comunque un milione di consensi in più di quel 40,8% incassato alle elezioni europee del 2014. Abbastanza da sperare di battere i Cinquestelle anche con il proporzionale.
Con gli scatoloni ormai pronti, dopo essere riuscito (indispettendo il capo dello Stato) a ottenere per oggi il Sì definitivo alla legge di stabilità, a conclusione della Direzione dem Renzi non salirà come previsto al Quirinale per scongelare le dimissioni. Lo farà soltanto venerdì: tempo utile, sia al Colle che al premier, per monitorare la situazione.

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