IL QUADRO
Il primo a spendersi è stato Franceschini. E' stato di nuovo lui a tessere la tela del partito di Mattarella. «Devi restare al tuo posto - il suo invito - e noi ti appoggiamo come candidato alle primarie per le prossime elezioni«. Il ministro della Cultura ha la golden share dei gruppi parlamentari, soprattutto al Senato dove può contare su una cinquantina di fedelissimi. La sua linea è sempre la stessa: «Renzi resta la nostra risorsa», ha detto ad alcuni deputati in un incontro tenutosi ieri mattina a Montecitorio. Ma, aggiungono i franceschiniani, «l'importante è che Matteo capisca che non può procedere a strappi, non può andare avanti con il gioco dell'uomo solo al comando». È una fiducia condizionata alle prossime mosse del segretario dem. Un alt per esempio al voto anticipato a breve termine.
Sulla stessa lunghezza anche Orlando: il ministro della Giustizia è un altro che frena sulle elezioni anticipate. I Giovani turchi a palazzo Madama possono contare su una quindicina di senatori e pochi sono disposti ad accelerazioni di questo tipo. Eppure il segretario dem avrebbe garantito proprio a questi ultimi i posti nelle liste che erano appannaggio dei bersaniani.
I RENZIANI
C'è poi il capitolo dei renziani della prima ora: prima dell'arrivo a palazzo Chigi i fedelissimi dell'ex sindaco di Firenze al Senato erano solo dodici e un minuto dopo la chiusura della consultazione sul referendum nessuno di loro nascondeva il timore di ritrovarsi senza una guida. Poi il sospiro di sollievo, la decisione di Renzi di ripartire da quel 40%.
Rosato e Zanda hanno assicurato la tenuta dei gruppi, qualunque sia la decisione sul nuovo capo del governo. «Non lasceremo Renzi da solo - ecco il segnale di garanzia - abbiamo condiviso un percorso con lui e lo porteremo avanti».
La minoranza dem, invece, prende le distanze e aspetta al varco il segretario in Parlamento e si è iscritta in massa al partito della stabilità. «Tutto il Pd deve mettere a disposizione del Capo dello Stato le truppe parlamentari», il messaggio arrivato da Bersani al Nazareno. «La priorità è dare un governo al Paese», spiegano dalla minoranza dem che conta una ventina d'unita' a palazzo Madama.
IL NODO SENATO
E sarà proprio al Senato che il nuovo presidente del Consiglio - chiunque sarà - si giocherà la partita decisiva. Ovvero quella della fiducia, perché prima di dare un via libera ad una ipotesi Grasso o Padoan molti parlamentari vorrebbero avere rassicurazioni sui tempi dell'iter dell'esecutivo. Il partito del non voto che può contare di numeri consistenti anche tra i centristi vuole arrivare a settembre quando matureranno i tempi per incassare la pensione.
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