Whistleblowing, denunciare il collega si può: la legge divide

Whistleblowing, denunciare il collega si può: la legge divide
di Diodato Pirone
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Giovedì 16 Novembre 2017, 09:57 - Ultimo aggiornamento: 20:10

Succede molto più spesso di quanto si creda. Quante volte abbiamo sentito parlare di un collega, di un amico o di un lontano parente nei guai al lavoro perché «non si è fatto gli affari suoi». E quante volte - magari davanti alla macchinetta del caffé - abbiamo sentito pettegolare di denunce insabbiate anche di fronte a qualche irregolarità sulla bocca di tutti. A tutto questo intende rimediare una legge approvata ieri definitivamente dalla Camera per proteggere seriamente (vedi schede) il dipendente pubblico (o il dipendente di un'azienda privata che rifornisce il pubblico) che denuncia casi di corruzione.

Per complicarci la vita, la legge ha preso un impossibile nome inglese (whistleblowing, ovvero soffiando nel fischietto) perché copia la norma adottata per prima dalla Gran Bretagna nel 1988 e poi diffusasi un po' in tutt'Europa, ma il senso dell'operazione è cristallino: l'impiegato che non farà più finta di non vedere una irregolarità importante e la denuncerà d'ora in avanti manterrà l'anonimato (tranne che all'eventuale processo d'appello) e soprattutto non potrà essere colpito per ritorsione. A patto, è ovvio, che la denuncia sia corredata da prove solide e dettagliate.

La nuova norma completa e specifica quanto già previsto dalla legge anticorruzione del 2012 che però non proteggeva in modo specifico i denunzianti e non obbligava le pubbliche amministrazioni all'inversione della prova. Dovranno essere gli enti, d'ora in avanti, a dimostrare che un eventuale provvedimento contro un denunziante è stato preso per ragioni diverse da quelle relative alla denuncia. E poi chi non eseguirà i controlli (la legge del 2012 già prevede che le amministrazioni si dotino di un Responsabile della Prevenzione della Corruzione) rischierà di pagare fino a 50.000 euro di tasca propria. A stabilire come stanno le cose sarà l'Anac, l'Autorità Anticorruzione.

LA STORIA
La legge proverà a correggere un andazzo consolidato in Italia dove i casi di denuncianti «finiti male» non si contano. Uno in particolare è piuttiosto noto ed ha meno di due anni. Si tratta della denuncia di un funzionario delle Ferrovie Nord di Milano, Andrea Fronzoso (che sul suo caso ha scritto un libro, Il disobbediente, edizioni Paper First), il quale aveva scoperto che il presidente delle Ferrovie Nord, Norberto Achille, usava molto denaro pubblico per spese ingiustificabili: abiti costosissimi; viaggi privatissimi; poker online; quadri e stampe antiche per amici politici e autorità giudiziarie e militari; persino la copertura di 180 mila euro di multe appioppate al figlio che utilizzava per sé un berlinone dell'azienda. Franzoso si rivolse agli organi interni che fecero finta di niente e solo dopo alla magistratura che aprì un'inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio per l'ormai ex presidente delle Ferrovie Nord. Ma intanto l'impiegato era stato isolato, trasferito e poi indotto a licenziarsi.

Ma davvero la nuova legge tutelerà chi soffia nel fischietto? Intanto un primo indice positivo sulla qualità della legge sta nella sua brevità: appena tre articoli. Poi, come detto, il testo è chiarissimo sulla protezione quasi totale dei denuncianti che, se lo vorranno, potranno mantenere l'anonimato in caso di procedimenti disciplinari e nei processi penali fino al primo grado.

Anche i dipendenti di azienda private fornitrici di amministrazioni pubbliche sono protetti ma - attenzione - solo se la loro denuncia viene fatta attraverso il canale previsto già ora: ovvero i modelli organizzativi interni chiamati 231/2001.

La legge, il cui primo firmatario è la deputata M5S Francesca Businarolo che si avvalsa della collaborazione di associazioni come Riparte il futuro e Transparency International Italia, è figlia anche di una frattura politica. Alla Camera è stata approvata da tutti i partiti tranne che da Forza Italia che l'ha giudicata «una barbarie giuridica perché incoraggia un clima di reciproco sospetto nei luoghi di lavoro».

Opposte le altre reazioni, dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, alla ministra dei rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, fino al sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, Angelo Rughetti, tutti hanno sottolineato l'utilità di un provvedimento che intende combattere la corruzione e la grande condivisione fra le forze politiche. Sul blog di Beppe Grillo infine una sortita autocelebrativa: abbiamo vinto.

A tirare le fila il commento di Raffaele Cantone, presidente dell'Anac: «E' una norma di civiltà perché chi segnala illeciti non può essere lasciato solo.

Le condizioni per giungere a questo risultato sembravano molto difficili ma poi il Parlamento ha saputo trovare un'ampia e significativa convergenza».

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