Contro la violenza non bastano le parole

di Paolo De Angelis
4 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Dicembre 2016, 13:40
Sulla giornata mondiale contro la violenza verso le donne, caduta alcuni giorni fa e trascorsa tra convegni, dibattiti, manifestazioni varie, tutte iniziative dal forte valore simbolico di riflessione generale su un problema dalle dimensioni preoccupanti e in forte espansione, si è scritto molto sui quotidiani italiani. E questo è un bene. La stessa celebrazione contro la violenza ha spessore educativo perché diffonde la cultura della tutela di categorie deboli e del rifiuto di logiche violente. E tuttavia, ancora non si è ben compreso come muoversi per ridurre concretamente il fenomeno.

Capire le sue radici, le sue origini, le sue cause è senz'altro importante per ricordare che il tema, oggi affrontato alla luce di una moderna coscienza sociale, ha una storia antica ed è fortemente radicato nell'ideologia della società italiana; una triste tradizione di violenza sulle donne nei più diversi ambiti, da quello familiare a quello professionale, come dimostrano le analisi delle dinamiche sociali in Italia negli ultimi cinquant'anni. Non è però sufficiente affrontare la questione limitandola a uno o due giorni l'anno: occorre una strategia complessiva, che se da una parte ha lo scopo di stimolare la penetrazione di messaggi culturali, dall'altra deve favorire la diffusione di dinamiche di contrasto.

Un primo aspetto è la risposta alla violenza da parte delle istituzioni: è meglio reprimere, con sanzioni esemplari contro gli autori, oppure prevenire, attraverso percorsi formativi e progetti educativi? È un dilemma di non facile soluzione poiché ogni scelta presenta aspetti sia positivi che negativi; affidarsi solo alla repressione fa correre il rischio di casi irrisolti e quindi di ingiustizie, nonostante la forte specializzazione in questo campo da parte di magistratura e forze di polizia, e comunque, a quel punto, il danno è fatto e la vittima ha già subito la violenza che è giusto evitarle.

La prevenzione forma individui consapevoli e, specie per le giovani generazioni, è la strada maestra ma richiede tempi lunghi che non sono compatibili con la gestione dell'emergenza di fronte alla quale ci troviamo; occorre allora un sistema misto di intervento, capace di accoppiare la repressione con la prevenzione, entrambe indispensabili per arginare la diffusione del fenomeno.

La legislazione italiana degli ultimi anni ha dimostrato una forte spinta in un senso e nell'altro, sia intervenendo sulla normativa penale (dalla legge sullo stalking alle norme sul femminicidio, per fare alcuni esempi) sia favorendo progetti di recupero sociale e di sostegno alle vittime; ma non basta, come emerge impietosamente dalla cronaca quotidiana, piena di vicende agghiaccianti e violenze terribili su donne, specie in contesti familiari ed affettivi. C'è bisogno di cogliere le mille facce di un fenomeno così radicato e diffuso; la tutela delle vittime è un percorso che dalla norma deve arrivare alla sua concreta attuazione, per sviluppare la consapevolezza del rischio da parte delle stesse donne, non sempre in condizioni di cogliere la criticità della propria situazione e spesso all'oscuro dei rimedi e della stessa possibilità di chiedere aiuto.

Serve un radicale cambio di prospettiva che metta al centro la vittima, persona offesa nel processo ma prima di tutto persona nella società. Se il sistema antiviolenza verrà costruito a misura di vittima, avverrà il cambio di passo decisivo nella lotta contro le violenze. Le vittime in primo piano allora; sostenute dalla formazione, che ne sviluppi le coscienze, dall'azione, che ne favorisca la scelta di reagire, dalla tutela, che ne assicuri il sostegno, dall'assistenza, che ne tuteli il rifiuto di subire la violenza. Questa visione richiede interventi multidisciplinari a vari livelli, sociali, psicologici, giuridici, economici, che abbiano la forza di sviluppare un processo di maturazione individuale e collettiva; ma conta soprattutto lo sforzo dell'impegno e la consapevolezza che nessun percorso sarà possibile senza un profondo approccio culturale, capace di affrontare la multifattorialità delle cause della violenza ed affermare principi fondamentali, dal riconoscimento dei diritti delle vittime alla scelta di valori, giuridici e sociali, condivisi.

Serve, forse, una nuova legge che si occupi in modo sistematico ed unitario del problema; oppure uno strumento di attuazione delle norme esistenti, purché capace di disegnare una nuova strategia di risposta, adeguatamente finanziata. L'importante è condurre una battaglia che si occupi di cultura e sviluppo, battaglia giusta perché si batte per la difesa di persone deboli, in nome della solidarietà doverosa in una società che vuole essere moderna. Segna il passaggio dal medioevo al rinascimento, in senso culturale; e la differenza tra vincere e perdere non è solo negli obiettivi da raggiungere ma soprattutto nel percorso da seguire, che si chiama civiltà.

* Magistrato presso
il Tribunale di Cagliari
© RIPRODUZIONE RISERVATA