«Non ha la laurea», caso Fedeli. Il ministro: «Errore fatto in buona fede»

Valeria Fedeli
di Marco Ventura
4 Minuti di Lettura
Martedì 13 Dicembre 2016, 19:01 - Ultimo aggiornamento: 14 Dicembre, 15:29
ROMA «Onorata di ricoprire un ruolo così importante per il Paese, lavorerò per una scuola di tutte e di tutti». Non ha fatto quasi in tempo a pronunciare le parole di prassi Valeria Fedeli, neo ministro dell'Istruzione Università e Ricerca, una vita da sindacalista ed ex vicepresidente del Senato, che già deve fronteggiare un pesante attacco social su due fronti. Il primo è il giallo della laurea.

IL TITOLO DI STUDIO
Nel sito personale, alla voce chi sono è sintetizzato in una riga il suo corso di studi. «Finite le scuole mi sono trasferita a Milano per iscrivermi dove ho conseguito il diploma di laurea in Scienze Sociali, presso UNSAS». Cioè la Scuola per assistenti sociali di Torino, che non conferisce propriamente una laurea. «La Fedeli mente sul proprio titolo di studio, niente male per un neo ministro dell'Istruzione», attacca l'ex Pd cattolicissimo Mario Adinolfi, che al premier Gentiloni rimprovera d'aver messo a dirigere scuola e Università «non solo una che non è laureata, ma una che spaccia per laurea in Scienze sociali' un semplice diploma della scuola per assistenti sociali». Il neo ministro? «Mente spudoratamente».

I collaboratori della Fedeli riconoscono che non si tratta di vera laurea, non essendo l'UNSAS un ateneo, e tuttavia quel diploma sarebbe stato poi di fatto equiparato a una laurea breve, triennale. Nessuna volontà da parte della Fedeli di nascondere la verità o cambiare le carte in tavola, ma un giusto un «problema lessicale», in piena «buona fede». Il giallo del diploma attraversa però il web come una frustata virale, alla quale si aggiungono video su interventi televisivi dell'allora vicepresidente del Senato con scenari di disimpegno dal governo in caso di vittoria del no al referendum.

RIVOLUZIONE GENDER
Ma il secondo fronte subito aperto è ancora più sostanziale, e spiega la virulenza dell'attacco sulla laurea (di cui sono - o erano - privi personaggi come Piero Angela, Eugenio Montale, Dario Fo, Steve Jobs, Hemingway e Steinbeck). Riguarda l'ideologia del gender, fumo negli occhi del mondo cattolico al quale appartiene Adinolfi. Tutto nasce dal 2014 e dalla proposta di legge di cui la Fedeli è prima firmataria, sulla rivoluzione culturale nelle scuole con l'introduzione dell'ideologia che nega differenze sostanziali, sessuali e psichiche, tra maschi e femmine. Il tema è esploso in alcuni istituti che avevano adottato un programma improntato all'ideologia del gender: maschietti e femminucce venivano educati a usare rispettivamente i pastelli rosa e celeste, e il femminile per professioni di solito declinate al maschile.

Il popolo del Family Day definisce senza mezzi termini la scelta di Valeria Fedeli «una dichiarazione di guerra». All'attacco Massimo Gandolfini, animatore delle manifestazioni e presidente del comitato Difendiamo i nostri figli, già oppositore delle adozioni per le coppie gay e impegnato per il No al referendum costituzionale. Per lui la nomina della Fedeli, visto il suo orientamento culturale per «l'identità di genere a ispirazione gender, non può non essere letta come l'ennesima offesa nei confronti del popolo del Family Day». Di più, come «una provocazione, se non una vendetta», per la campagna contro il referendum dalle famiglie dei Comitati del No. Gandolfini si appella al capo dello Stato e grida al «pericolo per i nostri figli, cavie di sperimentazioni ideologiche».

IL VERSANTE DELLE APERTURE
Piena collaborazione, invece, su bullismo e lotta alle discriminazioni. La Fedeli ha una posizione netta sui diritti, come dimostrano quelle sue prime parole: «Lavorerò per una scuola di tutte e di tutti». In sintonia con la campagna per la trasformazione al femminile del linguaggio parlamentare portata avanti da Laura Boldrini presidente della Camera, il neo ministro non piace a molti cattolici nella scuola, mentre piace ai sindacati che sanno di confrontarsi d'ora in poi con una di loro. La Gilda, per esempio, si appella al suo passato sindacale per un «maggiore ascolto delle parti sociali». Così l'Anief, che confida nella sua «sensibilità e volontà di dialogo».

Plauso anche dall'Arcigay. Il segretario nazionale Gabriele Piazzoni «confida che questa novità porti un rinnovato impegno nel contrasto al bullismo e alle discriminazioni nelle nostre scuole». Buone le premesse per Cisl Scuola e Flc-Cgil. Pronto invece ad alzare barricate contro «una teoria pericolosa come quella del gender» l'assessore alle Culture Identità e Autonomie della Lombardia, Cristina Cappellini.
© RIPRODUZIONE RISERVATA