Unioni civili, garantire i diritti senza rincorsa delle toghe

di Marco Gervasoni
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Domenica 7 Febbraio 2016, 23:59 - Ultimo aggiornamento: 8 Febbraio, 00:14
Comincia una settimana cruciale per la legge sulle unioni civili, dopo giornate in cui sostenitori e avversari sono scesi in piazza. La libertà di coscienza per i Cinquestelle e la conseguente incertezza sui numeri potrebbe riservare sorprese politiche. Molti si sono stupiti di questa radicalizzazione. Ma, si consenta il gioco di parole, c’è da stupirsi dello stupore. Quasi sempre l’introduzione delle unioni civili e dei matrimoni gay ha prodotto mobilitazioni di piazza, soprattutto in Paesi a tradizione cattolica; in Francia con i Pacs nel 1999, in Spagna e ancora oltralpe con i matrimoni omosessuali, nel 2005 e nel 2013. 

 

E come non ricordare da noi le manifestazioni del 2007? Fanno sorridere anche quelli che sconsolatamente lamentano la “politicizzazione” della diatriba. Cosa c’è di più politico, nel senso alto del termine, dell’intervenire sulla famiglia? Una questione che interessa non solo cattolici, protestanti, ebrei e musulmani, ma anche i non credenti. Altri hanno lamentato la povertà del dibattito e in un certo senso l’eccessiva rapidità con cui è stata scritta la legge. 
In effetti un tema così importante avrebbe richiesto un maggior contributo degli studiosi e magari un accordo alto tra le forze politiche, come si ebbe in tempi di maggior radicalizzazione politica, quando nel 1975 fu riformato il diritto di famiglia. La solita classe politica italiana, abborracciata e approssimativa? Non proprio. Se andiamo infatti a guardare in casa di altri Paesi, ci renderemo conto di non essere peggio di loro (ma neppure meglio, il che non guasterebbe).

Limitiamoci al momento più controverso del disegno di legge cosiddetto Cirinnà. Tutti o quasi infatti si dicono a favore delle unioni civili, anche se la legge disegna un matrimonio senza chiamarlo così. Il punto dolente è costituito dalla possibilità della coppia di adottare i figli biologici e adottivi di uno dei partner, la cosiddetta step child adoption. I sostenitori argomentano che ormai sarebbe presente in tutti gli Stati civili, anche se stupisce sentire utilizzare dai fan della intangibilità della Cirinnà un’espressione così politicamente scorretta come «Paese incivile». Tra questi, oltre all’Italia, ci sarebbero infatti il Portogallo e pressoché tutti i Paesi dell’Europa orientale. Ma, al di là di questo, si possono notare due particolarità: innanzitutto l’introduzione di questa legge è ovunque piuttosto recente, il caso più antico essendo costituito dall’ultra laica Olanda nel 2001 e i più prossimi dall’Austria e dalla Francia nel 2013 e dall’Irlanda nel 2015. L’altro elemento da sottolineare è che, molto spesso, i parlamenti o i governi sono stati costretti a varare la legge obbligati dal pronunciamento di sentenze di magistrati o di corti costituzionali. Il che, anche in questo campo, dimostra come il livello giuridico predomini su quello politico. 

Come, in altre parole, i politici siano costretti a rincorrere a magistrati e giudici. Niente di male, se non fosse che i politici sono pur sempre scelti dai cittadini, i giudici no. Anche negli altri Stati poi non pare che le decisioni legislative siano state precedute da consessi in cui scienziati, giuristi, filosofi e storici di vario orientamento si siano confrontati. Segno che anche nelle nazioni che altri preferiscono chiamare “civili”, il divario tra la politica e la cultura è ormai incolmabile. Né sembra che in Europa il tema abbia opposto destra e sinistra in senso tradizionale (popolari vs socialisti). La divisione politica c’è ma evidentemente si manifesta attraverso altri canali. Tutti elementi che è auspicabile i legislatori tengano presente, per varare un disegno equilibrato che non spacchi il Paese. 

 
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