Trivelle, spunta una legge per evitare il referendum

Trivelle, spunta una legge per evitare il referendum
di Alberto Gentili
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- Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio, 12:34
C’è un referendum, quello sulla riforma costituzionale, che piace tanto a Matteo Renzi. Ma ce n’è anche un altro, molto meno pubblicizzato, che fa imbufalire il premier. E’ la consultazione, promossa da nove Regioni (la decima, l’Abruzzo, si è sfilata), contro le trivellazioni marittime. E nel governo i nervi sono a fior di pelle in vista della decisione, attesa per domani, della Corte costituzionale che dovrà decidere se il referendum è ammissibile.

Tutto nasce a ridosso di Natale. Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise sono sul piede di guerra. Hanno promosso ben sei referendum. Obiettivo: smantellare le norme contenute nel decreto Sblocca Italia che concedono al governo la possibilità di scavalcare l’eventuale veto delle Regioni per gli interventi di esplorazione e trivellazione ritenuti di «interesse strategico nazionale».
 
LA STRATEGIA
Renzi decide di correre ai ripari. Chiede di inserire nella legge di Stabilità un emendamento in grado di spingere la Cassazione a giudicare inammissibili i sei quesiti. Il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, propone un testo. 
Ma a palazzo Chigi, il sottosegretario Claudio de Vincenti e la responsabile dell’Ufficio legislativo Antonella Manzione, suggeriscono un’altra formulazione. Ed è questa quella che viene inserita nella legge di Stabilità, stabilendo il divieto di attività di esplorazione e trivellazione entro le 12 miglia marine, aggirando di fatto le competenze regionali impossibili da far valere fuori dalle acque territoriali.
L’8 gennaio la Cassazione si riunisce e boccia ”solo” cinque dei sei referendum. Lasciando in vita il quesito che riguarda le misure del decreto Sviluppo sul «divieto di attività di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi in zone di mare entro le 12 miglia marine».

L’IRRITAZIONE
Raccontano che Renzi non l’abbia presa bene. Che ci siano stati attriti tra il premier, De Vincenti e la Manzione. Non solo perché, se passasse il referendum, dovrebbero essere chiusi i pozzi già operativi, «con danni enormi sotto il profilo economico e occupazionale», come sostengono al ministero dello Sviluppo. Ma anche e soprattutto perché Renzi, che teme danni elettorali per il Pd, vuole evitare di andare alle urne su questo tema ambientale insieme alle elezioni amministrative di giugno. Cosa invece molto probabile se la Consulta dovesse dare il via libera al referendum.

Palazzo Chigi spera che l’Avvocatura convinca la Consulta a bocciarlo. Ma già studia una nuova norma per bloccare il referendum, nel caso fosse ammesso. Nel frattempo però cresce il fronte del no. Dopo Ermete Realacci, si fa sentire Dario Franceschini. Il ministro della Cultura rivendica un ruolo vincolante «nelle procedure autorizzative». «Doveva svegliarsi prima», ribattono allo Sviluppo.
 
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