Trattati di Roma, la cerimonia è all'insegna della preoccupazione

di Mario Ajello
2 Minuti di Lettura
Mercoledì 22 Marzo 2017, 12:22
Si cominciano a celebrare i Trattati di Roma. L'Europa sbarca a Montecitorio. Ma deputati e senatori italiani non accorrono in massa a questa anteprima delle giornate in ricordo del 1957. Gli eurodeputati ci sono tutti, quelli italiani. Il presidente Mattarella sta per parlare, scatta la standing ovation, e intanto sono intervenuti Grasso e Boldrini.

Il governo è tutto in aula. In prima fila Napolitano e Prodi. Insieme al quale, Gentiloni è entrato nell'emiciclo e i due parlano fitto fitto. L'Inno di Mameli lo hanno cantato tutti. Gli spalti sono strapieni. Di parlamentari grillni poco più di venti. Ma neanche i berlusconiani partecipano granché alla festa.

Festa? Tutti sanno, in  quest'aula, che l'unica grande idea partorita dalla politica negli ultimi 60 anni è stata quella dell'unificazione europea. Ma tutti sanno anche quanto sia in difficoltà e da ripensare - ma come? - il progetto. Potrebbe sembrare insomma una cerimonia auto-celebrativa ed è, viceversa, una giornata di preoccupazione.

«Se vince Merkel le elezioni l'Europa è finita», dicono più o meno tutti entrando o uscendo dall'emiciclo. La consapevolezza del rischio di un ritorno agli Stati nazionali precedenti alla prima guerra mondiale nessuno ha l'ipocrisia di negarla. Ma si guarda avanti, con la convinzione di dovere insistere sul percorso dell'unione, che più volte ha avuto stop (l'ultimo è la Brexit) and go. Si respira oggi a Montecitorio pessimismo della ragione, ma ottimismo della volontà. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA