COSA DICE LA NORMA
La norma non prevede un prepensionamento degli statali, ma più semplicemente la «facoltà» delle pubbliche amministrazioni di «promuovere» il ricambio generazionale mediante la riduzione «su base volontaria e non revocabile» dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale «in procinto di essere collocato a riposo». Nono si tratterebbe insomma, di un prepensionamento, ma più semplicemente di un part time volontario. Berger aveva già presentato questo emendamento in Commissione al Senato, ma era stato bocciato perché la Ragioneria aveva spiegato che, se da un lato si sarebbe risparmiato sullo stipendio, il costo dei contributi per garantire l'invarianza della pensione al lavoratore part time, sarebbe sempre gravata sullo Stato. Dopo un confronto con gli stessi tecnici del Tesoro, Berger ha riformulato l'emendamento, prevedendo che l'invarianza della contribuzione previdenziale sia garantita «attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione». Significa che a versare la differenza dei contributi tra il part time e il tempo pieno per poter ottenere una pensione piena una volta lasciato il lavoro, debba essere il lavoratore stesso. Questo, se da un lato rende sostenibile da un punto di vista finanziario per le casse dello Stato l'operazione, dall'altro rischia di renderla insostenibile per lo statale eventualmente interessato al part time. Un dipendente pubblico che guadagna 2 mila euro netti al mese, per esempio, oltre allo stipendio dimezzato per il tempo parziale, si troverebbe a dover versare contributi mensili per altri 300-350 euro. Un meccanismo che, insomma, potrebbe rendere decisamente poco appetibile lo strumento della staffetta generazionale. Come detto le votazioni sul disegno di legge sulla Pubblica amministrazione riprenderanno domani. Al pettine sono attesi anche altri delicati nodi, come quello sulla riforma della dirigenza pubblica.