Il sondaggio: con le urne
subito Paese ingovernabile

Il sondaggio: con le urne subito Paese ingovernabile
di Antonio Calitri
4 Minuti di Lettura
Giovedì 8 Dicembre 2016, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 17:58

ROMA Partiti al massimo delle loro potenzialità dopo il referendum. Sia quelli che hanno vinto la battaglia referendaria come M5S e Lega Nord, sia il Pd uscito sconfitto alla consultazione di domenica scorsa. Andare subito al voto però, con i sistemi attuali renderebbe il Parlamento ingovernabile perché al Senato (sia con il Consultellum sia con l’Italicum applicato su base regionale) non ci sarebbe nessuna maggioranza. Questi i risultati del primo sondaggio sugli orientamenti di voto alle elezioni politiche e la simulazione della distribuzione dei seggi a Camera e Senato, realizzato da SWG per il Messaggero. Infine, quel 40% che ha votato Sì e che i renziani intestano direttamene a Matteo Renzi, nonostante il suo Pd sia molto più sotto di quella cifra, è effettivamente ascrivibile al premier dimissionario?

LE OSCILLAZIONI
Secondo l’indagine, tra il primo dicembre, vigilia della consultazione, e il 7 dicembre, chi ha guadagnato di più in termini di consenso è il Movimento Cinquestelle: gli elettori che voterebbero oggi i grillini sono passati dal 27,5% al 28,9%, con un balzo di 1,4 punti percentuali che in una settimana è davvero tanto. Al secondo posto per crescita delle intenzioni di voto c’è la Lega Nord che ha conquistato uno 0,8% rispetto al 12% che aveva una settimana fa attestandosi al 12,8%.
Ma se la crescita delle due organizzazioni politiche che hanno vinto la competizione referendaria in qualche modo era aspettata, sorprende a prima vista che al terzo posto per crescita dei consensi si piazzi proprio il Partito democratico, uscito sconfitto, che conquista uno 0,6% e passa dal 32 al 32,6%, trascinando l’intera area governativa dello stesso margine visto che le altre formazioni che la compongono restano praticamente invariate. Altra sorpresa invece nell’area della vittoria del No con Forza Italia che nonostante abbia sposato la causa e Silvio Berlusconi sia sceso di nuovo in campo, alla fine ha perso uno 0,8% (esattamente quanto ha guadagnato la Lega Nord) passando dal 12,4 all’11,6% e subendo di nuovo il soprasso da pare della formazione guidata da Matteo Salvini.

«Questi risultati - spiega Enzo Risso, direttore scientifico di SWG - sono dovuti al fatto che questo referendum ha mobilitato i vari elettorati che hanno serrato le fila facendo raggiungere ai partiti i livelli più alti di consenso che avevano, ma non c’è stato nessun vero exploit. Basti pensare che il Pd si è avvicinato a quel 33% che è stata la punta massima raggiunta negli scorsi mesi così come il M5S al suo 29% e la Lega Nord al 13%. Questo perché tutti e tre gli elettorati di questi partiti hanno seguito in gran parte le indicazioni del proprio partito. Basti pensare che il Pd è riuscito a mobilitare il 91% del suo elettorato e di questo l’83% ha votato sì».
Discorso diverso solo per Forza Italia, il cui elettorato, spiega Risso, «si è diviso tra il Sì e il No. Questo non significa che ha abbandonato il partito ma che è rimasto più freddo». In questo contesto, «se il 60% dei No è frutto di diversi elettorati e di diverse motivazioni, quel 40% di Sì non è invece ascrivibile a un elettorato ma a un blocco sociale riformatore e non populista che supera il Pd e l’intera area di governo che è ferma al 36% e nella quale una parte di questi partiti, in termini assoluti circa il 3% del Pd e l’1% di Ncd, ha votato No».

CAMPO LARGO
Quindi esiste un elettorato renziano più largo del suo Partito democratico che ha votato secondo le sue indicazioni e che se si candidasse lo voterebbe avvalorando come dicono i suoi quel 40% di consensi di cui gode? «Non esattamente. Renzi, se si votasse ora, partirebbe dal 33% del Pd. Esiste un blocco sociale che va oltre il Pd e l’area di governo, formato anche da elettori di altri partiti e che proviene anche dall’astensione che ha votato Sì perché vuole un riformismo non populista. Si tratta di un blocco sociale dove c’è una maggiore presenza dei ceti medi e una peculiare assenza dei ceti bassi, che oggi non è ascrivibile a Renzi ma con il quale Renzi può dialogare. Il resto poi dipenderà dalla proposta che gli verrà fatta al momento delle elezioni».

I PESI
Se si votasse oggi, questa la simulazione della distribuzione di seggi realizzata da SWG con l’Italicum attuale che prevede il ballottaggio: in caso di vittoria, il Pd conquisterebbe 340 seggi, l’M5s ne prenderebbe 130, praticamente quanti il centrodestra (128). In caso di vittoria M5s (340), il Pd ne prenderebbe 139 e il centrodestra 120. Se dovesse vincere il centrodestra (340), 137 andrebbero al Pd e 122 al M5s. «Si tratta di un tripolarismo asimmetrico» conclude Risso, «che come è avvenuto con le ultime amministrative, se il M5S va al ballottaggio attira anche i voti dell’altro sconfitto e vince. Solo in caso di Pd e centrodestra al ballottaggio se la giocherebbero». Il problema però resta il Senato che, sia con il sistema attuale (il Consultellum) sia con l’Italicum adattato all’elezione dei senatori su base regionale, non avrebbe nessuna maggioranza.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA