E c'è del paradossale nel fatto che proprio un primo cittadino M5S, e non di un qualsiasi borgo ma della Capitale d'Italia, abbia conquistato in queste ore un primato: ricevere l'avviso di garanzia a inizio mandato e non come i suoi predecessori Alemanno e Marino, che almeno lo hanno ricevuto più in là nel tempo.
Non è la questione giudiziaria quella davvero centrale nel caso Roma. Va in frantumi però, in questo passaggio, anche la predicazione della normalità e dell'attenzione alle cose ordinarie su cui la Raggi ha sempre insistito. E il crollo di questi assiomi sta nella straordinarietà di questa vicenda e in una sua anomalia preoccupante. La Raggi chiamata in Procura ha avvertito della cosa prima Grillo, poi i consiglieri del suo partito e infine i cittadini. Rovesciando clamorosamente la prospettiva, rispetto alla naturale fisiologia democratica, e insieme evidenziando il fatto singolare che a permettere la permanenza della Raggi nel suo ruolo è il Codice Grillo. Ossia il regolamento etico redatto proprio in vista di questo passaggio giudiziario e che elimina l'obbligo di dimissioni per un sindaco indagato.
Non sappiamo quali saranno le conseguenze nella fiducia dei romani e nel loro consenso nei confronti del movimento di Grillo - a leggere i sondaggi le disavventure nella Capitale non sembrano aver intaccato granché fino ad oggi il tesoro elettorale - ma ciò che certamente produce questa inchiesta, in una città in cui la Raggi è già sprofondata al penultimo posto nella classifica italiana di gradimento, è l'ulteriore indebolimento della figura del sindaco. Naturalmente c'è il rischio che a fare le spese di questa situazione di fragilità amministrativa con deficit di risultati siano i cittadini. Proprio quelli che ieri sono stati avvertiti per ultimi. Perché la fonte battesimale del potere della Raggi non sembrano più loro ma una tavola delle leggi confezionata ad personam tra la villa di Beppe a Genova e l'ufficio di Davide nella Casaleggio Associati a Milano. E Roma si sente sempre più sola.
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