Da simbolo vip a tavola calda: al ristorante del Senato con 10 euro mangi quanto vuoi

Da simbolo vip a tavola calda: al ristorante del Senato con 10 euro mangi quanto vuoi
di Mario Stanganelli
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Venerdì 12 Agosto 2016, 09:06 - Ultimo aggiornamento: 13 Agosto, 20:02

Sia pure in subordine a quello sesso-potere anche il rapporto cibo-potere è sempre stato un termometro affidabile del prestigio dell'istituzione che imbandiva la tavola. E se del primo è difficile reperire banchi (o letti) di prova, del secondo era senza dubbio rinomato palcoscenico il ristorante del Senato. Ma oggi la riforma renziana, destinata a tagliare i costi del «ceto politico più pagato d'Europa» con principale obiettivo la minimizzazione dell'assemblea di Palazzo Madama, sembra aver preso le mosse, o addirittura essere stata anticipata nell'abbattimento di una serie di simboli e privilegi della Casta, dalla mensa della Camera Alta.
Quello che infatti, con una punta di esagerazione, passava per il ristorante più esclusivo della Capitale, oggi, ma già dall'inizio della legislatura, appare come una, pur dignitosa, tavola calda. Dell'antico arredo sono rimaste le sedie e i lampadari e sui tavoli, dove campeggiavano immacolate tovaglie di fiandra, una tovaglietta di carta e una bustina di plastica con le posate di metallo inox al posto della pregiata posateria che spingeva qualche avventore a farsene una piccola collezione a casa. Spariti i numerosi camerieri in giacca avorio, oggi, i signori senatori, piatto in mano, fanno la fila al banco per scegliere tra un paio di primi o di secondi secondo la formula dell'all you can eat al prezzo unitario di dieci euro, bevande escluse. Formula di cui non pare siano in molti ad approfittare stante lo spleen che, in particolare a tavola, sembra attanagliare gli esponenti di un'istituzione inesorabilmente avviata al dissolvimento.
 
AMATRICIANA
Certo, all'ora di pranzo dello scorso 4 agosto, ultima seduta prima della chiusura estiva appesantita dall'ambascia di dover votare da lì a poco sull'arresto del collega Caridi, non erano le mezze maniche all'amatriciana o i sedanini freddi ai calamari e neppure il pesce spada o i bocconcini di vitello, a poter mettere di buon umore i senatori scesi a mangiare al ristorante. Vecchi camerieri e senatori di lungo corso raccontano di ben altre atmosfere quando oltre alla certezza, nutrita dai più, di potersi rivedere alla prossima legislatura, era possibile - ma qui il nesso con l'umore non è provato - vedersi servita in tavola una poderosa fiorentina o una tagliata di tonno per cinque euro. Non raro anche l'astice o le ostriche, il caffè era gratis mentre oggi per averlo bisogna salire di un piano e andare alla buvette.
Da tempo diversi senatori ironizzano mettendo in parallelo le scarse soddisfazioni ricavate dai loro passaggi al ristorante di Palazzo Madama e la malinconica prospettiva, riguardante la grande maggioranza di loro, di non doversi più ritrovare - a riforma costituzionale attuata - nelle austere stanze di papa Leone X e di Margherita d'Austria.
Una parabola quella del ristorante del Senato che, come simili decadenze che hanno accompagnato gli anni del grande riflusso, spinge a guardarsi indietro. A quel periodo delle vacche grasse che, a Palazzo Madama, durò ben più dei biblici sette anni, ma che comunque finì quando un senatore della Lega mandò sul web un menù del Senato con i relativi ed irrisori prezzi. L'inevitabile ventata di moralizzazione portò i prezzi - fino ad allora integrati con un contributo di 35-40 euro a pasto a carico del Senato - a quintuplicarsi fulmineamente all'indomani della chiusura feriale dell'estate 2011. Con il risultato della desertificazione di quella elegante sala da pranzo che, anni dopo, spogliata degli orpelli, avrebbe, forse per le ultime volte, riunito a mensa i senatori della Repubblica.