Riforme, si tratta sul Senato elettivo: numeri in bilico, non si esclude il rinvio

Riforme, si tratta sul Senato elettivo: numeri in bilico, non si esclude il rinvio
di Diodato Pirone
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Lunedì 6 Luglio 2015, 05:34 - Ultimo aggiornamento: 8 Luglio, 09:28

Nonsologrecia. Sul fronte politico tutto è pronto per la ripartenza del confronto sulla riforma della Costituzione. Domani il confronto ricomincia in Commissione Affari Costituzionali e l'obiettivo pare essere quello di chiudere la discussione - ovvero il terzo passaggio su quattro nelle Camere - entro l'8 agosto.

Il principale nodo da sciogliere è già chiaro: la minoranza Pd (25 senatori) chiede che in qualche modo sia possibile l'elezione popolare anche dei futuri senatori. L'attuale articolo 2 della riforma dice invece che devono essere i consigli regionali a nominarli, in numero di 74 (cui vanno aggiunti 21 sindaci). Mentre la scelta degli ”ultimi” 5 senatori spetterebbe alla Presidenza della Repubblica.

LA TRATTATIVA

Fra renziani e bersaniani si sta limando un accordo. Sulla base di quello che gli addetti ai lavori chiamano ”Principio di riconoscibilità”. In sostanza si tratterebbe di formare - al momento delle elezioni regionali - un minilistino che consentirebbe all'elettore di indicare ai consiglieri regionali chi inviare in Senato. La ”riconoscibilità” non potrebbe però essere inserita nell'articolo 2 del ddl costituzionale perché altrimenti bisognerebbe ricominciare daccapo il lungo iter (4 passaggi parlamentari) della riforma, ma dovrebbe finire in un articolo nuovo dello stesso disegno di legge.

Già, ma quando potrebbe essere siglato l'accordo - se sarà siglato - fra maggioranza e minoranza del Pd? Difficile che tutto fili liscio come l'olio.

Non a caso lo stesso premier da qualche giorno sottolinea che non sarebbe drammatico uno slittamento a settembre del via libera alla legge. L'obiettivo ”vero” del premier, infatti, è quello di varare il referendum popolare confermativo della riforma a giugno del 2016 per segnalare all'Europa la fine della fase di ristrutturazione delle fondamenta della Repubblica. E uno slittamento a settembre del ”sì” del Senato sarebbe compatibile con il referendum finale per l'estate 2016.

Se, invece, l'accordo fra i ”due” Pd dovesse saltare potrebbe tornare in campo l'ipotesi di un accordo con la componente verdiniana di Forza Italia disposta ad appoggiare la riforma. Ma è chiaro che questo scenario complicherebbe, e non di poco, la marcia del premier. In casa Dem si parte in un clima teso, che probabilmente richiederà ancora altre riunioni di gruppo, dopo le ben nove Assemblee tenute durante la prima lettura. I numeri - almeno ufficialmente - sono in bilico e spiegano in parte l'apertura del premier. La maggioranza conta su 7 voti in più (e dunque i 25 senatori Pd della minoranza, se compatti, potrebbero mettere in minoranza il governo) anche se è evidente che gran parte dei senatori di Forza Italia (l'ala verdiniana in particolare) e di altri gruppi non hanno nessuna voglia di bloccare la riforma con la possibile conseguenza di elezioni anticipate.

Intanto domani, in Commissione Affari costituzionali del Senato, la presidente, Anna Finocchiaro, darà avvio alla seconda lettura delle riforme a Palazzo Madama, con una relazione illustrativa del testo approvato dalla Camera il 10 marzo scorso che per la verità ha apportato modifiche minori al testo varato dal senato l'8 agosto di un anno fa.

IL VIATICO

Un buon viatico alla partenza delle riforme, è stato ieri l'editoriale sul Corriere della Sera del presidente emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese, rilanciato con una notevole dose di entusiasmo sui canali social della rete dai parlamentari della maggiroanza del Pd ed anche dallo staff del premier Matteo Renzi. «Non bisogna far marcia indietro sulla proposta di riforma costituzionale», ha scritto Cassese, che ha difeso sul piano costituzionale il superamento del bicameralismo e la previsione che l'esecutivo chieda il voto in data certa dei propri disegni di legge.

Mentre Maurizio Gasparri di Forza Italia parla di «spaccature del Pd» che impedirebbero di approvare le riforme a Palazzo Madama prima dell'estate, come vorrebbe il governo. A meno che, come ammette lo stesso Gasparri per esorcizzarle, ci siano «presunte, evitabili, numericamente irrilevanti operazioni di soccorso dell'area di centrodestra».