Riforme, Renzi vuole una conta nel Pd: l'unica alternativa resta il voto

Riforme, Renzi vuole una conta nel Pd: l'unica alternativa resta il voto
di Marco Conti
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Lunedì 21 Settembre 2015, 09:43 - Ultimo aggiornamento: 16:39
Si cerca di stringere ma le posizioni restano ancora distanti e il vocabolario aiuta a cercare la mediazione ma sino ad un certo punto. ”Indicati” o ”eletti”? La sfida tra Matteo Renzi e la minoranza del Pd guidata da Pier Luigi Bersani sta tutta in due parole che oltre a mutare senso ad un Senato che il ddl Boschi vorrebbe come Camera delle autonomie, rischia di rimettere in discussione molto di più del comma 5 dell’articolo 2.



MANDATO

Al senso della riforma, che dovrebbe cancellare il bicameralismo perfetto e ridurre i costi della politica, Matteo Renzi non intende rinunciare e l’esito delle elezioni in Grecia, dove la sinistra radicale rischia di non entrare nemmeno in parlamento, lo rincuora in vista della riunione di oggi della direzione del Pd. Il premier intende tentarle tutte pur di preservare l’unità del partito. Oggi pomeriggio, dopo le 15, lo spiegherà alla direzione del partito che ha convocato per fare il punto su tutte le riforme fatte e sulla situazione economica in vista della legge di stabilità. Renzi, da segretario del Pd, chiederà al suo partito, con un documento che verrà votato, un mandato forte per andare avanti ed evitare che, «il Paese finisca in mano alla Lega e ai grillini», come ha sostenuto ieri il ministro Boschi. A tutti gli effetti si tratterà di una sorta di ultimo appello prima dello scontro finale nell’aula di palazzo Madama. Anche la riforma costituzionale, come ha provato a spiegare qualche giorno fa il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, rientra nel pacchetto-scambio con Bruxelles. Riforme in cambio di flessibilità e senza riforme - o peggio ancora con elezioni anticipate - tutto salterebbe. Stavolta la riunione della direzione non è stata convocata la sera, come tradizione, a conferma di un dibattito che si annuncia complicato con la minoranza che ha già messo le mani avanti sostenendo che su temi che attengono alla riforma costituzionale non c’è vincolo di partito. «Una scusa - sostiene il renziano Giachetti - da quando hanno perso il congresso le regole non valgono più». Dopo settimane di discussione, incomprensibile ai più, il nodo sul metodo di elezione dei cento senatori dovrà essere sciolto presto perché domani sera scadono i termini per gli emendamenti e da giovedì il presidente del Senato Pietro Grasso dovrà pronunciarsi sulla loro ammissibilità.



CLIMA

«E’ ovvio che Grasso, come qualunque arbitro, preferisca un clima diverso», sostiene il senatore Giorgio Tonini. Un auspicio difficile da realizzarsi viste le migliaia di emendamenti che la Lega, a sprezzo del ridicolo, intende presentare. Renzi considera la riforma costituzionale la madre di tutte le battaglie e, trattative a parte, è convinto che la battaglia della minoranza sia e resti «tutta politica» perché, sostiene, con la stessa tenacia hanno detto ”no” a tutte le riforme fatte dal governo. D’altra parte appare perlomeno contraddittorio mettere nell’articolo 2 al comma 5 che i ”senatori sono eletti” quando al comma 2 si parla di elezione da parte dei Consigli regionali, mentre al 6 si rimanda ad una legge nazionale per disciplinare l’elezione nei Consigli regionali. A meno che non si voglia far ripartire la riforma da zero, senza considerare che può apparire surreale che la battaglia sull’elettività avvenga con tanto ardore dopo anni di Porcellum e di Parlamento composto da nominati.