Riforma necessaria/ Una norma che paralizza chi decide

di Carlo Nordio
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Venerdì 8 Settembre 2017, 00:05
La proposta del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, di riformare l’abuso di ufficio, è saggia e opportuna. Saggia, perché questo reato è così evanescente da confliggere con i principi di tassatività e tipicità. Principi che ne esigono una definizione chiara e distinta, comprensibile tanto da chi applica la legge quanto da chi intende violarla. È opportuna perché gli effetti pratici della sua introduzione hanno costituito, e costituiscono, una gravosa ipoteca e una ancora più gravosa zavorra per la pubblica amministrazione. 

Ci spieghiamo. Oggi non c’è sindaco, assessore, funzionario o semplicemente impiegato che firmi serenamente un provvedimento di carattere discrezionale. Queste persone sono infatti terrorizzate dalla prospettiva che qualche anima bella, o per malinteso senso di legalità o per vituperevole interesse personale, insinui, in un esposto alla procura, che il pubblico ufficiale abbia abusato della sua funzione per favorire se stesso o danneggiare qualcuno. La situazione è aggravata dalla nota e perniciosa combinazione dell’azione penale obbligatoria, dell’informazione di garanzia e dell’uso strumentale che la politica ne ha fatto e continua a fare. 

In pratica, e per essere più chiari, funziona così: chiunque nel nostro ordinamento può denunciare un amministratore o un funzionario per abuso di ufficio. Può farlo senza costi perché non occorre l’avvocato, e senza rischi perché non esistono sanzioni per le denunce temerarie, salvo in caso, s’intende, che non siano calunniose. 

A seguito di questa iniziativa, la legge impone l’iscrizione nel registro degli indagati, che a sua volta determina la spedizione della famigerata informazione di garanzia. La quale, come tutti sanno, da strumento a tutela dell’indagato si è trasformata in condanna anticipata. E quel che è peggio, è motivo di dimissione di chi copre un incarico pubblico o di esclusione dalla candidatura di chi ambisce a ricoprirlo. Con la conseguenza prevedibile, e anche prevista, che nessuno firma più niente. 

Se a fronte di questa inerzia ormai diffusa, vedessimo un’efficacia repressiva e dissuasiva di questo reato, potremmo anche accettarne questi inconveniente funesti. Ma le cose non stanno affatto così. Su cento denunce poche arrivano a processo, una percentuale ancor minore si conclude con una condanna, e quasi nessuna con la reale esecuzione della pena dell’amministratore infedele. Va detto che il Governo queste cose le sa, e tempo addietro, su proposta di uno dei più autorevoli sindaci d’Italia fattosi portavoce dei suoi colleghi, ha costituito una commissione per risolvere questo problema.

I risultati non sono ancora noti, ma si sa che la commissione sarebbe addirittura orientata a proporre l’abolizione di questo reato inutile e dannoso. Ora l’intervento, ancor più autorevole del presidente Cantone, riapre il dibattito. Speriamo che porti ad un rapido e utile risultato, per rendere la pubblica amministrazione più efficiente e più serena.
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