Renzi abbandona l’Io e passa al Noi: svolta ecumenica del Rottamatore

Renzi abbandona l’Io e passa al Noi: svolta ecumenica del Rottamatore
di Mario Ajello
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Lunedì 19 Dicembre 2016, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 08:15
ROMA Non è tornato indossando i panni del conte di Montecristo. Non si sente Edmond Dantés. Dice di non cercare vendetta e di non volere alcuna rivincita. Un Renzi che non sembra Renzi quello che la batosta referendaria ha forse reso diverso. O almeno lui ci prova, nel sotterraneo dell’Ergife, luogo tipico fin dalla Prima Repubblica degli psicodrammi dei partiti a rischio, ad essere un altro dal se stesso auto-riferito e iper-personalizzante che spaccava e rottamava, che amava essere soprannominato Il Bomba, che si interessava non tanto al gioco ma solo al gol. E dunque, ecco Matteo born-again in versione pacificatore. Non indossa la camicia bianca dello statista riformista glam - come in quella famosa foto con gli altri giovani leader socialisti europei, tutti finiti male - ma una camicia celeste come quella che usano tutti. 

IL NEON
Questo dettaglio estetico, insieme al tono non altisonante del discorso, alla carta del Fattore umano («Ho avuto voglia di mollare») e alla continua sottolineatura dei propri limiti («La nostra efficienza di governo è stata superiore alla nostra empatia»: ovvero ha dato dell’antipatico a se stesso), servono a proiettare sulla propria persona un’immagine nuova. Non più quella del Riformista Dall’Alto. Sostituita, in questi giorni di ritiro a Pontassieve, da quella del post-ragazzo che ha scoperto il piacere della normalità. «Sono andato - così racconta - a parlare con gli insegnanti di mio figlio Emanuele. E mi sono accorto, nella scuola, che un neon funzionava male. Questi sono i dettagli a cui i politici non fanno attenzione. Noi politici non pensiamo che esistono piccole cose quotidiane che vanno rimesse a posto». Ma l’umile Matteo, che si preoccupa della lampadina, reggerà alla prova del tempo o il Matteo Titano in overdose di Dna è pronto a manifestarsi nuovamente, appena la situazione lo consentirà? «Farò l’allenatore e il talent scout», giura, e non l’attaccante di sfondamento. Parla di questo come il suo «momento zen». Si lancia nello sforzo sincero (ma chissà se reggerà in questa reincarnazione simil-Gentiloni) di credere così: «C’è più bisogno di noi che di io». 

LA MINUSCOLA
Un io con la minuscola. Perché il clima è cambiato, lui se n’è accorto benissimo e infatti si loda e s’imbroda il meno possibile («I mille giorni di governo appartengono al passato») e in un misto di scherzo e di amarezza descrive in questa maniera il passaggio d’epoca e il nuovo mood: «Eravamo a un passo dalla Terza Repubblica e siamo quasi tornati alla Prima». Tra voglia di proporzionale e tutto il resto. In un contesto così, non solo sarebbe fuori tempo un Matteo all’insegna dell’Ego ma il mito della velocità e la concezione agonistica della lotta politica, che sono stati la sua cifra, finirebbero per stridere rispetto allo spirito del tempo ora rappresentato dalla prudenza di Mattarella e dalla pacata cultura della condivisione incarnata da Gentiloni. Il quale gli siede accanto sul palco dell’assemblea nazionale del Pd, e più il Renzi di ora mostra di voler essere diverso dal Renzi di prima e più Paolo Il Calmo sembra gradire le sue parole. Le quali tra l’altro non contengono una forzatura muscolare sul voto subito, anche se lui il voto continua a volerlo in tempi brevi. Poi magari lo spartito non muscolare di queste ore verrà stracciato e comunque, a proposito di musica, ironicamente l’ex premier ha voluto come colonna sonora della kermesse «La Prima Repubblica non si scorda mai» di Checco Zalone. Che in certi passaggi, è una canzone politicamente strepitosa: «Gli uscieri paraplegici saltavano / i bidelli sordo-muti cantavano / e con un’unghia incarnita / eri malato per tutta la vita». E se davvero ci sarà un ritorno al futuro - ironizza Matteo aggiungendo anche: «Ho più dato dimissioni io in una settimana che un qualsiasi Dc in un millennio» - allora «mi farò eleggere con il Consultellum proporzionale, ma con l’8 per centro di soglia e voglio vedere chi lo supera, in un bel collegio al Senato e in prospettiva farò il presidente del Cnel». Risate in sala. 

LA RIPARTENZA
Guai a credere però a un Renzi ammosciato o ormai disilluso. Tutt’altro. Il ritmo, sia pure non assordante e non minaccioso del Renzi tutto «squadra», «comunità», «ascolto», «giovani», «periferie», «partito», «gente», «territorio» (le nuove coordinate che sostituiscono la narrazione a senso unico), è quello del “ce n’est qu’un début, continuons le combat”. Ovvero, ci siamo battuti, abbiamo sbagliato tanto fino alla disfatta ma adesso la lotta continua e si riparte contro il partito-azienda di Grillo. Si tratterà, però, di vedere se l’urto dell’innovatore - cui Renzi non intende rinunciare - e la vocazione da semi-buonista possono stare insieme. O se si tratta invece di una contraddizione in termini o di una enunciazione solo tattica per prendere tempo e non esporsi subito agli strali dei nemici interni al Pd che dopo la sua sconfitta lo odiano, se è possibile, ancora di più.
 
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