Renzi, ecco il piano sul lavoro: contratto indeterminato ma senza articolo 18

Renzi, ecco il piano sul lavoro: contratto indeterminato ma senza articolo 18
di Alessandra Chello
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Lunedì 16 Dicembre 2013, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 17 Dicembre, 09:04

Per fargli pubblicit non ha mai risparmiato aggettivi. Innovativo. Corposo. Persino gigantesco. Così Matteo Renzi, alla vigilia della sua investitura a neo segretario democratico, parlava del piano per il lavoro: il Job Act come l’ha ribattezzato. Ai fornelli, accanto al segretario, c’è il deputato Pd Yoram Gutgeld, cervello economico del renzismo. È lui che coordina la rete di consulenti che sta mettendo a punto l’intera linea economica del timoniere Pd. Ed ecco il piatto forte: un unico contratto di lavoro indeterminato-flessibile per tutti i giovani al di sotto di una determinata soglia di età.

VIA I CONTRATTI A PROGETTO

In pratica sarebbero cancellati i contratti a progetto introdotti con la legge Biagi e per i neoassunti il reintegro per giusta causa sarebbe sostituito da un indennizzo. Mentre per chi è già nel mercato del lavoro da tempo, resterebbe in vigore il vecchio «articolo 18». L’idea, dunque, punta sul presupposto che si debba introdurre un contratto a tempo indeterminato che non goda però della protezione del reintegro dell’articolo 18. Ma questo - chiariscono dallo staff di Gutgeld - non vuol dire abolire l’articolo 18, bensì di stabilire fin dall'inizio un indennizzo in caso di licenziamento e comunque di garantire alla persona che perde il posto di lavoro sia un sussidio di disoccupazione adeguato sia la possibilità di riqualificazione professionale. Nella situazione attuale i giovani vanno avanti con contratti di sei mesi in sei mesi. Il contratto a tempo indeterminato è riservato a chi è molto richiesto e ha una professionalità particolare. La distorsione è dunque già nelle cose e riguarda la distinzione tra contratti stabili e contratti precari. La realtà in cui i giovani si trovano a lavorare è un Far West che non garantisce nulla. La risposta di Renzi dunque è - come ha commentato Gutgeld - agli antipodi del diminuire i diritti dei lavoratori. Al contrario, li si va ad aumentare.

IL TEMPO INDETERMINATO

Il tempo indeterminato non si tocca, e nello stesso tempo si va a dare un’alternativa al precariato. Altro punto chiave del capitolo impiego è la necessità di semplificare il Codice del lavoro e il rilancio dei Centri per l'impiego. I centri per l'impiego oggi non funzionano, in quanto intermediano tra il 3% e l'1% dei contratti di lavoro, contro il 20% dell'Inghilterra, hanno professionalità inadeguate e non sono collegati in modo inappropriato al mondo del lavoro. Occorre inoltre intervenire sul sistema complessivo di formazione professionale, che oggi spesso lavora più per i formatori che per gli studenti. E ancora investimenti mirati e non a pioggia. Amplificando le tendenze economiche e sociali che possono innescare la crescita. Il programma di Renzi investe anche il Sud e passa attraverso infrastrutture materiali e immateriali, la lotta alla criminalità organizzata, la scommessa sull'istruzione e sulla ricerca.

Tutto coniugato in una strategia sistematica lontana dall’interventismo una tantum sul modello della Banca del Sud proposta da Giulio Tremonti. Nel frattempo Renzi annuncia che entro un mese ci sarà una piattaforma condivisa per semplificare le regole del lavoro e per modificare gli ammortizzatori sociali.

Le critiche naturalmente non mancano. Il presidente del gruppo Ncd al Senato, Sacconi, attacca: «Renzi sembrerebbe voler copiare l'accordo tra socialdemocratici e cristiano democratici in Germania ma in tal caso deve avvalersi di un buon traduttore. Il salario minimo di cui parla il documento ratificato dagli iscritti alla SPD riguarda coloro che lavorano e non i disoccupati. Verrebbe introdotto per legge in modo che nemmeno i contratti - nelle aree più depresse o nel primo impiego giovanile - possano disporre un salario inferiore. In Italia tutte le parti sociali hanno sempre preferito alla legge la flessibile fonte dei contratti collettivi per definire il salario minimo...». Mentre Bill Emmott, ex direttore dell’Economist suggerisce a Renzi: « Blair propose un salario minimo nazionale che introdusse nel 1998, il primo provvedimento di questo tipo che l’Inghilterra abbia mai conosciuto. Quale sarà il tuo progetto, Matteo?».

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